Via San Gregorio è una traversa di Corso Buenos Aires, la via dello shopping milanese. Interseca precisamente a metà la più newyorkese delle vie di Milano ed è una strada piena di storia. Nella via si può vedere l’ultimo gruppo di cellette rimasto integro del Lazzaretto per malati di peste di cui parla Manzoni nei suoi Promessi Sposi. Sul lato sinistro della via, al n. 5, c’è la Chiesa Russa Ortodossa di San Nicola: nel suo giardino custodisce un piccolo santuario in legno in cui si trova un’icona che, di tanto in tanto, l’ultima volta nel 2011, piange lacrime accompagnate da un intenso profumo di rose. Al 39 c’è Wonderland, la galleria della meraviglie dell’Eclettico, uno spazio immaginifico dove è altamente consigliato perdersi. E poi ci sono bar e ristoranti bellissimi, dove fermarsi a riordinare le idee approfittando della quiete data dalla distanza dal Corso.
È una via che mi piace molto, ma oggi del numero 40 che voglio parlarvi. Apparentemente un anonimo portone di legno che in realtà nasconde un passato orribile e sanguinario.
Dietro questo portone, il 30 novembre del 1946, una tranquilla commessa di un negozio di tessuti fa una scoperta destinata a rimanere impressa nella memoria degli abitanti del capoluogo lombardo e dell’Italia tutta.
Cosa scoprì la commessa? Ve lo racconto io, ma andiamo con ordine
La protagonista di questa storia, Caterina Fort, detta Rina, nasce in Friuli il 28 giugno 1915. La sua è una vita travagliata, costellata di lutti e tragedie. A dieci anni, durante un’escursione in montagna, il padre perde l’equilibrio mentre la sta aiutando a superare un passaggio difficile e cade in un precipizio: Rina lo vede cadere e morire. Poco tempo dopo, un fulmine colpisce la sua casa e lei rimane intrappolata nell’incendio che ne consegue salvandosi per un pelo. Salva, ma senzatetto. Ancora minorenne viene promessa in sposa ma il fidanzato muore di tubercolosi. Dopo un’infezione alle ovaie, scopre di essere diventata sterile, lei che ha sempre desiderato diventare mamma. A 22 anni sposa Giuseppe Benedet, suo compaesano, ma subito dopo la cerimonia l’uomo dà gravi segni di squilibrio: sequestra e sevizia la moglie per tutta la notte e solo al mattino Rina riesce a fuggire e chiedere aiuto. Viene ricoverato in manicomio il giorno dopo le nozze e qui morirà poco dopo.
Rina ottiene la separazione e nel 1945 si trasferisce a Milano dove vive la sorella. Incontra Varon Vitali, un commerciante di stoffe del quale diventa domestica e in breve tempo l’amante. Con la figlia del Vitali sono però litigi continui e l’uomo decide che non può più tenerla a servizio: nel dicembre del 1945 la presenta a Giuseppe Ricciardi, detto Pippo, anche lui commerciante di stoffe, alla ricerca di una commessa per il proprio negozio.
Rina di Pippo si innamora subito. Inoltre è brava nel lavoro al negozio di via San Gregorio e grazie a lei gli affari vanno a gonfie vele. Lui le regala una fede nuziale e le chiede di andare a convivere a casa sua: la considera come una moglie. È però all’oscuro del fatto che Pippo ha una moglie e tre figli. Quando lo scopre, dapprima pensa di lasciare tutto e partire per l’America poi però accetta quella relazione, tranquillizzata dalle parole dell’amante che la rassicura: la famiglia rimarrà lontano.
Tuttavia le voci corrono e a Catania Franca Pappalardo, moglie di Ricciardi, viene informata della commessa e della strana relazione con il marito. Nell’ottobre del 1946, Franca lascia la Sicilia e parte per Milano con i figli. Quando arriva in stazione non c’è nessuno ad accoglierla e lei va diritta al negozio del marito. Lui non c’è ma dietro il bancone trova Rina. La Pappalardo è risoluta: rivendica il suo ruolo di moglie e tronca quella relazione.
Al Ricciardi non resta che licenziare Rina, che si ritrova in un colpo solo senza lavoro e senza casa. Trova un nuovo impiego come commessa in una pasticceria, ma non smette di vedersi con Pippo. La moglie, venutolo a sapere, convoca la rivale a casa sua e le dice con le buone di farsi da parte, tanto più che è incinta del marito per la quarta volta. È l’umiliazione più grande per Rina: impossibilitata ad avere figli, di fronte all’ennesima relazione sfortunata, cambia volto e da donna affascinante e gentile si trasforma in un’assassina senza pietà.
La notte del 29 novembre 1946 su Milano piove e Rina si reca dalla signora Franca. Sa che Pippo è via per lavoro e vuole parlare con la donna per l’ultima volta prima di sparire per sempre dalla vita sua e dello squallido marito. La Pappalardo è sorpresa di vederla ma le ribadisce con fermezza di non farsi più vedere, di smetterla di cercare il marito. Rina ha un mancamento e Franca la lascia entrare in casa. Le serve un bicchiere di acqua e limone per ridestarla dal malore, poi le dice: “Cara signora, lei si deve metter l’animo in pace e non portarmi via Pippo, che ha una famiglia con bambini. La cosa deve assolutamente finire, perché sono cara e buona, ma se lei mi fa girare la testa finirò per farla mandare al suo paese“.
Rina è esasperata: nota una spranga di ferro appoggiata in un angolo della cucina e accecata dall’odio inizia a colpire la rivale. Giovannino, il figlio maggiore, interviene a difesa della madre ma Rina si libera facilmente di lui e lo colpisce ripetutamente. In cucina accorre anche Giuseppina e Rina riserva anche a lei stesso trattamento, così come anche per il piccolo Antonio, di 10 mesi, seduto sul seggiolone, forse addormentato.
Nonostante la ferocia dei colpi, la Pappalardo e i due figli maggiori non sono morti. Franca fissa la sua carnefice e singhiozzando le dice: “Disgraziata! Disgraziata! Ti perdono perché Giuseppe ti vuol tanto bene. Ti raccomando i bambini, i bambini…”.
Rina versa del liquido sui visi delle sue vittime e poi infila degli stracci nelle loro bocche. Fruga nei cassetti e ruba dei gioielli e una piccola somma di denaro. Si cambia anche le scarpe, indossando quelle del Ricciardi. Poi va via, torna a casa e mangia due uova fritte con dei grissini.
La mattina dopo, Pina Somaschini, la nuova commessa di Ricciardi, si reca in via San Gregorio per prendere le chiavi del negozio e rinviene la mattanza. Giuseppe Ricciardi viene rintracciato a Prato e informato dell’accaduto: interrogato fa il nome di Rina Fort. La Polizia la cerca a casa sua, in via Mauro Macchi 89, poi nella pasticceria dove lavorava, in via Settala 43: l’arrestano mentre sta servendo i clienti scherzando e raccontando aneddoti.
Quando si incontrano in questura, Pippo si lancia tra le braccia di Rina e con il capo sul grembo di lei, singhiozzando le dice: “Rina, mia! Rina mia! Rina mia!”
Si definisce una donna innamorata: innamorata della propria famiglia, del proprio lavoro, della vita. Innamorata del suo Andrea. Viaggia spesso per lavoro e piacere e nel poco tempo libero ama leggere, scrivere e collezionare intimo con cui stupire il suo lui.
Architetto e scrittrice, di base a Milano, vive e lavora gran parte dell’anno nella Penisola arabica dividendosi fra la passione per il design e quella per la scrittura.
La trilogia “Il mio Andrea” sorprende il pubblico con un romanzo autobiografico di profonda introspezione che porta il lettore per mano nei difficili meandri dell’amore incestuoso.
Liberatevi da ogni preconcetto e non potrete non amare i suoi personaggi. Calatevi senza pregiudizi nelle sue storie d’amore in cui il sesso, tanto, di qualità e ben raccontato, sarà di ispirazione per i vostri rendez-vous più peccaminosi.