Una bella donna che, in gonna attillata e leopardata, presenzia ai funerali del marito non può non attirare i pettegolezzi del paese e l’attenzione della stampa. Se poi la donna è anche accusata di essere l’assassina del marito e le viene affibbiato un nome suggestivo, abbiamo tutti gli ingredienti per confezionare un mistero in grado di scuotere l’opinione pubblica e tenere banco nella pigra estate del 1989.

Lei è Maria Luigia Redoli ma è conosciuta come la “Circe della Versilia”. A Forte dei Marmi, dove vive dopo il matrimonio con Luciano Iacopi, la conoscono tutti. Ma perché è accusata di aver ucciso il marito?  Ve lo racconto io, ma andiamo con ordine.

Maria Luigia Redoli nasce a Torino nel 1939. Il padre, di Portoferraio, si è trasferito al nord per lavorare alle Ferriere Fiat. La madre, toscana pure lei, è ostetrica. Maria Luigia studia dalle suore, dopo le medie frequenta il liceo classico e si iscrive a medicina che però lascia dopo tre anni. Frequenta anche il Conservatorio e studia pianoforte con ottimi risultati. Nel 1963 il padre va in pensione e la famiglia torna in Toscana, a Cecina.

 Luciano Iacopi, classe 1920, è benestante, seppure abituato a una vita modesta. Si racconta che quando morì il padre, per non spendere soldi del funerale, si caricò da solo la bara su un furgone e la portò lui, di notte, al cimitero. A Forte dei Marmi è soprannominato Gasperello e vanta un patrimonio immobiliare fatto di appartamenti, negozi e terreni valutato in sette miliardi di lire dell’epoca. In città si sussurra che faccia anche l’usuraio. È talmente inviso che quando si candida per le comunali, tra le file del Psdi, prende un solo voto: il suo.

Maria Luigia è bella, avvenente e ammirata. Colleziona una sfilza di fidanzati ma non riesce mai a sposarli. «Già a 15 anni gli uomini mi spogliavano con gli occhi» racconta. Dopo l’ennesimo fidanzamento sfumato promette a se stessa: «Il primo uomo che incontro, purché abbia i soldi, me lo sposo». Nel novembre del 1965, mentre passeggia sul lungomare di Cecina, Gasperello, al volante di un’Alfa Romeo 1900, la nota e la affianca.

«Signorina, è molto bella. Vorrei conoscerla».
«Non ci sono problemi» risponde lei salendo in auto.
«Piacere, mi chiamo Luciano Iacopi» dice l’uomo, dando inizio al suo corteggiamento. Le malelingue diranno poi che i due si conobbero in un night, ma la realtà è che per Gasperello fu colpo di fulmine nonostante i venti anni di differenza.

Altrettanto non si può dire per Maria Luigia.
«Guardalo bene e pensa a quel che fai» l’ammonisce il padre quando Iacopi si presenta a chiedere la mano.
«L’importante è avere un marito ricco che mi faccia fare una bella vita. Se non mi piacerà, un amante giovane sarò sempre in grado di trovarmelo» la sua risposta. I due si sposano e vanno a vivere a Forte dei Marmi. I primi cinque anni sono felici.  

Maria Luigia si fa notare presto in tutta la Versilia: gonne sempre più corte e sempre più attillate, tacchi alti, capelli cortissimi platinati, occhialoni scuri a coprire lo sguardo da femmina fatale. Gira in Maserati o Range Rover, le piace la bella vita e coltiva una passione per l’occulto. È una bella donna e le attenzioni degli uomini la gratificano.

Il primo a cadere nella sua rete è il presidente di un Tribunale che, prima di amare la Circe, pretende che lei suoni un pezzo al pianoforte. Ci sono anche facoltosi imprenditori e ricchi industriali: tutti pronti a fare follie per una notte d’amore. Un rinomato gioielliere lascia moglie e famiglia per lei ma non riesce a coronare il suo sogno. Dell’elenco fanno parte anche un vigile urbano e un poliziotto, a sottolineare quanto la donna subisca il fascino della divisa.

Una mattina, il maresciallo a capo della stazione dei carabinieri di Forte dei Marmi  la convoca in caserma con un pretesto e le dichiara il suo amore. Sono dieci anni di passione che si concludono tragicamente: il maresciallo muore, travolto da un’auto sulle strisce pedonali. Dalla relazione nascono due figli: Tamara e Diego. Iacopi finge di non sapere, lei preferisce non dire.

Gasperello non è da meno. In una casa colonica di sua proprietà vede le amanti che conosce tramite annunci su giornali di incontri. Dopo la sua morte, i carabinieri trovano centinaia di lettere accuratamente custodite insieme ad altrettanti giornali porno. Tramite un annuncio alla rubrica “cuori solitari” della Pulce ha conosciuto una signora di Follonica, Agata Tuttobene, che diventa sua amante fissa.

Dalla scomparsa del suo maresciallo, Maria Luigia è sempre più inquieta. Alla continua ricerca dell’amore, quello che oramai sa di non poter più trovare nel suo matrimonio, si rivolge a maghi e cartomanti che paga profumatamente. Per la Redoli, i soldi non sono un problema: il marito le ha intestato la proprietà di due locali commerciali in viale Mazzini, sempre a Forte dei Marmi, dai quali ricavava circa due milioni di lire al mese di affitto. Gasperello le passa un altro milione in contanti per le sue spese personali.

Si reca ogni giorno da una cartomante, Patrizia Scazzola, che per duecentomila lire le legge i tarocchi. Vuole sapere dell’amore, Maria Luigia, ma vuole anche filtri e maledizioni per gli uomini che le hanno fatto dei torti. «Ho letto su un vecchio testo di magia che bisogna sgozzare un neonato e durante il rito satanico io chiederò agli spiriti del male che la moglie e i figli del mio amante restino paralizzati. È la punizione che quell’uomo merita» le dice un giorno. Fortunatamente, la donna la ignora.

Il 13 maggio 1989 alla Versiliana c’è il carosello dei carabinieri. Maria Luigia va allo spettacolo in compagnia della figlia Tamara, che crescendo è diventata un clone della madre: capelli platinati, abbigliamento provocante e occhialoni scuri d’ordinanza. Tra centinaia di uomini in divisa, lo sguardo della donna è attirato da un carabiniere alto quasi come un corazziere, robusto come un armadio e forte come un toro.

Lui è Carlo Cappelleti, nato a Norma in provincia di Latina, un ragazzone ingenuo di appena ventitré anni che logica vorrebbe fosse più attratto dalla figlia diciottenne ma che invece cade tra la braccia della madre cinquantenne. La passione tra i due è fulminante: consumano subito il loro amore perché lui deve rientrare a Roma dov’è distaccato il suo reparto, ma oramai le basi sono state gettate.

Nei due mesi successivi continuano a frequentarsi. Il giovane approfitta di ogni libera uscita, di ogni permesso, per correre in Toscana dalla sua amata. In città corrono le chiacchiere: Maria Luigia ne ha agganciato un altro. Ma la cosa ha smesso di fare scandalo: tutti ne sono a conoscenza, inclusi i figli e il marito, e i due amanti vivono il loro amore alla luce del sole.

L’hotel San Domingo, a Lido di Camaiore, è il loro nido d’ amore. Il proprietario è amico di Maria Luigia e Carlo soggiorna lì, beato e spesato, aspettando solo che lei passi a prenderlo in Maserati biturbo, in Range Rover o col Suzuki nero. La donna ha bisogno della sua intimità col bel carabiniere, ma durante il giorno si porta sempre dietro i figli. Sono uno strano quartetto ma lei li tiene tutti intorno a se da vera matriarca.

Per Maria Luigia, che finalmente sente di avere la felicità a portate di mano, c’è ancora un ultimo ostacolo da superare: Gasperello. Ai suoi amici maghi e cartomanti chiede fatture di morte e malefici. Ne parla anche con Marco Porticati, alias il mago Lauro, compagno della cartomante Patrizia, il quale racconta: «Le dissi che io non facevo fatture mortali – e allora lei ribatté: “Dato che lei non lo vuol fare, allora lo ammazzo io”.»

Maria Luigia è decisa e insistente. Il mago, forse per liberarsi della donna, forse per approfittare di lei, le dice di avere una soluzione: ci sono persone, a Livorno o a La Spezia, che per trenta milioni possono risolvere il problema. Maria Luigia gli consegna quindici milioni: il resto a lavoro concluso. L’uomo incassa e non fa nulla.

Il 6 luglio, mentre lavora nelle scuderie, il calcio di un cavallo imbizzarrito rompe il braccio destro del carabiniere Cappelletti. Per i due amanti è una manna: lui trascorre la convalescenza all’hotel San Domingo e loro possono godersi l’estate. Sono giorni spensierati e felici che i due trascorrono al mare, di giorno in compagnia dei figli di lei, di notte tra discoteche e passione.

Arriviamo al 16 luglio. Maria Luigia trascorre la giornata al mare con i figli e Carlo. Durante un giro in pattino con Diego, Carlo cade in acqua e il gesso si bagna. Fanno una sosta in ospedale per farlo fasciare e poi, tutti e quattro, cenano al ristorante dell’hotel di lui. Alle 21.40 decidono di andare a ballare tutti insieme e invitano, ripetutamente, Vittorio Gazzirù, proprietario dell’hotel, a unirsi a loro. Lui ha da fare e declina la proposta.

Iacopi non è certo rimasto a casa ad annoiarsi. Ha trascorso la giornata a casa della sua amante, Agata Tuttobene, che per l’occasione gli ha preparato un pranzo sontuoso, con ben tre primi. Nel pomeriggio hanno fatto l’amore e poi in serata è tornato a Forte dei Marmi. Alle 21:45 chiama Agata da casa per dirle che è arrivato e ringraziarla della bella giornata. Le dice anche che avrebbe bevuto una birra e sarebbe andato a dormire perché ancora sazio dal magnifico pranzo.

Maria Luigia, Carlo e i figli di lei decidono di andare alla  Bussola ma prima passano in auto davanti casa, per vedere se Iacopi è rientrato. Vedono le luci accese e non si fermano neppure. Incrociano un’auto dei carabinieri, intorno alle 22:00. Alla guida c’è il maresciallo Giovanni Pudda, comandante della caserma dei carabinieri, che la Redoli saluta.

Alle 22:10 entrano alla Bussola, il famoso locale a Marina di Pietrasanta, in località Le Focette. Sono i primi clienti a entrare e si fanno notare dai camerieri. Ballano fino alle 2:00 del mattino, poi, sempre tutti assieme, vanno via. Maria Luigia lascia Carlo in albergo e torna a casa con i figli. Apre il garage e scopre il coniuge, in una pozza di sangue, ucciso da diciassette coltellate.

Maria Luigia chiama immediatamente i carabinieri che arrivano sul posto dopo pochi minuti. A coordinare le indagini c’è il maresciallo Pudda, che conosce bene la vittima dal momento che abita nella stessa via e che da subito indirizza le sue attenzioni nell’ambito familiare. Manca il portafoglio della vittima e non si trova l’arma del delitto ma sotto al letto di Tamara trova la foto di Iacopi trafitto dagli spilloni.

Inoltre ci sono le testimonianze dei cartomanti e un particolare che non torna: la porta del garage è chiusa dall’esterno, le chiavi di Iacopi sono in casa per cui l’unica che può aver chiuso è Maria Luigia con le sue chiavi. Ma lei ha un alibi di ferro: era a ballare e in tanti l’hanno vista. In primo grado viene assolta. Il secondo grado ribalta la sentenza: Carlo ha ucciso Gasperello su mandato dell’amante per potersi godere la donna e il patrimonio. Entrambi condannati all’ergastolo. Fine pena mai.

Cristina Crì

Si definisce una donna innamorata: innamorata della propria famiglia, del proprio lavoro, della vita. Innamorata del suo Andrea. Viaggia spesso per lavoro e piacere e nel poco tempo libero ama leggere, scrivere e collezionare intimo con cui stupire il suo lui.

Architetto e scrittrice, di base a Milano, vive e lavora gran parte dell’anno nella Penisola arabica dividendosi fra la passione per il design e quella per la scrittura.

La trilogia “Il mio Andrea” sorprende il pubblico con un romanzo autobiografico di profonda introspezione che porta il lettore per mano nei difficili meandri dell’amore incestuoso.

Liberatevi da ogni preconcetto e non potrete non amare i suoi personaggi. Calatevi senza pregiudizi nelle sue storie d’amore in cui il sesso, tanto, di qualità e ben raccontato, sarà di ispirazione per i vostri rendez-vous più peccaminosi.