«Non sopporto chi mi usa violenza, così punisco i maschi violenti uccidendoli». Queste parole, pronunciate in carcere durante un interrogatorio, sono di Milena Quaglini e sintetizzano alla perfezione lo stato d’animo di una donna esasperata dalla violenza maschile e dalle angherie che ha dovuto subire.
Ma chi è Milena Quaglini e perché è in carcere? Ve lo racconto io, ma andiamo con ordine.
Milena Quaglini nasce a Mezzanino il 25 marzo 1957. Trascorre la sua infanzia nell’Oltrepò pavese e si diploma in ragioneria a Pavia. Non è un’infanzia facile la sua: il padre, alcolizzato e violento, spesso si accanisce su di lei e sulla madre, così, appena può, Milena scappa via. A diciannove anni si sposta tra Como e Lodi adattandosi a tutti i lavori possibili: la badante, la donna delle pulizie, la cassiera. Tutto pur di stare lontana dal padre ossessivo e dalla mano pesante.
Una azienda di impianti idrosanitari ha bisogno di una contabile e Milena riesce a farsi assumere. Qui conosce Enrico, un uomo di dieci anni più grande di lei, separato; non esattamente un buon partito. Ma è anche un uomo dolce, che sa capirla, le vuole bene e non la maltratta. I due si innamorano, si sposano e dalla loro unione nasce Dario. Milena è felice come non lo è mai stata.
Purtroppo la felicità dura poco. Enrico muore per una forma di diabete fulminante e la donna scivola in una depressione che si porterà dietro per tutta la vita. Cerca conforto nell’alcool ma ha anche bisogno di un lavoro per mantenere se stesa e il figlio. Torna a Pavia e trova lavoro in un centro commerciale.
Milena è scrupolosa e intelligente e in poco tempo diventa capo reparto. Incontra un uomo, Mario Fogli, di professione camionista, anche lui separato e dieci anni più grande di lei. Diventa il suo secondo marito e nascono due figlie. Lei spera in un rapporto fatto di amore e fiducia, ma Fogli si rivela ossessivo, violento e morbosamente geloso.
“Donna che lavora è donna che tradisce”, le dice e lei deve lasciare il lavoro. Poi c’è l’odio verso il figlio di primo letto, Dario, di cui l’uomo non sopporta neppure la vista tanto da confinarlo a vivere in garage. Il lavoro non va bene e lui comincia a bere: i problemi aumentano insieme ai debiti.
Il rapporto tra i due coniugi precipita quando un ufficiale giudiziario si presenta alla porta e pignora gran parte dei loro beni. Milena ricomincia a bere e tenta di guadagnare qualche soldo grazie alla passione per la pittura: nature morte, paesaggi e soggetti politici. Mario beve sempre di più e sfoga la sua frustrazione sulla moglie: schiaffi, pugni e calci, un timpano e due denti rotti.
La situazione diventa insostenibile e Milena chiede la separazione. Nel 1995 si trasferisce in Veneto con le due figlie e trova lavoro come portinaia in una palestra. I soldi però non bastano e così, rispondendo a un annuncio su un giornale, trova lavoro come badante presso un anziano signore, Giusto Dalla Pozza, di ottantatré anni.
L’anziano, vedendola in difficoltà economiche, le offre un prestito di 4 milioni di lire. Milena accetta: per lei è un gesto di affetto paterno. Il 25 Ottobre 1995, Dalla Pozza inizia a ricattarla: deve restituirgli quei soldi, in rate da 500mila lire o “in natura”. Al suo rifiuto l’uomo tenta di violentarla: per difendersi, Milena lo colpisce con una lampada e l’uomo cade in terra in una pozza di sangue. Lei scappa ma, dopo essersi calmata e cambiata, torna nell’appartamento dell’anziano e avverte la polizia. Forse è pronta a confessare tutto ma l’uomo muore dieci giorni dopo e il caso viene archiviato come caduta accidentale.
La donna è disperata. Torna a Broni da Mario Fogli, il marito da cui si era separata, e ricominciano le liti. Ricomincia a bere e ad assumere antidepressivi. Tenta il suicidio, dopo aver ingerito una massiccia dose di sonniferi, tagliandosi le vene di entrambi i polsi.
La sera del 2 Agosto 1998, dopo una delle tante liti, Mario, dopo averla malmenata e aver imprecato contro di lei, va a dormine nella loro camera da letto. Milena, che ha bevuto tanto, mette a letto le bambine e aspetta che lui si addormenti. Quindi lo tramortisce con una lampada e gli lega mani e piedi con la corda di una tapparella. Quando l’uomo rinviene e tenta di divincolarsi, Milena gli passa la corda intorno al collo e stringe fino a soffocarlo.
Quando è sicura che l’uomo sia morto, avvolge il corpo in un tappeto e lo porta sul balcone. Alle quattro del pomeriggio del giorno dopo chiama i Carabinieri e confessa l’omicidio. All’operatore che ha preso la sua telefonata passa una delle figlie che conferma che il suo papà e morto ed è avvolto in un tappeto sul balcone. Nell’appartamento i militari trovano Milena che piange in cucina, il cadavere del Fogli e le figlie che giocano con le bambole in salotto.
Semi-infermità mentale dice il verdetto e viene condannata a 6 anni e 8 mesi. Le bambine vengono affidate alla sorella. Durante la reclusione tenta due volte il suicidio per cui il tribunale dispone che sia affidata a una comunità religiosa per disintossicarsi. Qui conosce un ex carabiniere, un certo Salvatore, che si offre di ospitarla ma dopo due giorni cerca di violentarla.
Milena è costretta a trovarsi una nuova sistemazione e disperata risponde a un annuncio su un giornale: “Cinquantenne dinamico, divorziato, longilineo, casa propria, cerca compagna socievole massimo quarantenne, per amicizia, convivenza, poi si vedrà”.
L’uomo è Angelo Porrello, tornitore, abbandonato dalla moglie, 53 anni. Milena non sa che ha scontato sei anni di reclusione per violenza sessuale sulle tre figlie. I due iniziano una relazione. La mattina del 5 Ottobre 1999, Porrello chiede a Milena di vestirsi in modo provocante, ma lei rifiuta. L’uomo la picchia e la violenta per due volte. Nel pomeriggio le comunica che sta per violentarla nuovamente ma Milena lo convince a farsi preparare un caffè.
All’interno della tazzina scioglie venti pastiglie di un forte tranquillante di cui fa uso. L’uomo si addormenta in pochi secondi e lei mette il corpo nella vasca da bagno piena d’acqua ed esce. Al suo ritorno, trasferisce il corpo dell’uomo ancora in vita in una concimaia in giardino. Per crearsi un alibi si fa arrestare per violazione degli arresti domiciliari, in modo da essere in carcere quando la polizia ritroverà il corpo di Porello.
A fare la macabra scoperta è l’ex moglie dell’uomo, che rinviene il suo cadavere il 24 ottobre. Gli esami del DNA e dei farmaci ritrovati in casa non lasciano spazio a dubbi, il 23 Novembre 1999 Milena confessa: «L’ho ucciso io!» Una settimana dopo ammette anche l’omicidio di Dalla Pozza.
«A ogni schiaffo che prendevo da un uomo, rivivevo tutti quelli presi da mio padre […] Io sopportavo, sopportavo, sopportavo, finché non mi facevano qualcosa di intollerabile che mi faceva esplodere. […] Perché sono stanca, dalle botte in famiglia alle botte dal marito, alle botte dalla gente che non conosco neanche. Basta, basta, basta!»
Riconosciuta capace di intendere e volere, viene trasferita nel carcere di Vigevano in attesa della sentenza. Ma la depressione è molto forte e Milena, al fondo di tutte le sue energie, decide di impiccarsi con un lenzuolo il 16 ottobre 2001.
Si definisce una donna innamorata: innamorata della propria famiglia, del proprio lavoro, della vita. Innamorata del suo Andrea. Viaggia spesso per lavoro e piacere e nel poco tempo libero ama leggere, scrivere e collezionare intimo con cui stupire il suo lui.
Architetto e scrittrice, di base a Milano, vive e lavora gran parte dell’anno nella Penisola arabica dividendosi fra la passione per il design e quella per la scrittura.
La trilogia “Il mio Andrea” sorprende il pubblico con un romanzo autobiografico di profonda introspezione che porta il lettore per mano nei difficili meandri dell’amore incestuoso.
Liberatevi da ogni preconcetto e non potrete non amare i suoi personaggi. Calatevi senza pregiudizi nelle sue storie d’amore in cui il sesso, tanto, di qualità e ben raccontato, sarà di ispirazione per i vostri rendez-vous più peccaminosi.