La mattina del 4 settembre 1907 a Venezia c’è un bel sole caldo. Nikolaj Naumov, giovanissimo studente e cronista viennese, bussa al portone di Palazzo Maurogonato, a pochi passi da piazza San Marco. Alla domestica che apre chiede di parlare urgentemente con il padrone di casa, il conte Pavel Kamarovski.

Il conte, che all’epoca dei fatti ha 39 anni, viene svegliato e scende a incontrare l’inatteso ospite. Non appena i due uomini si trovano di fronte, il più giovane dei due estrae una pistola e spara allo stomaco dell’altro. Il conte crolla a terra urlando: «Non avevi altro modo per vendicarti». Alla vista del sangue, l’aggressore scoppia in lacrime, urla alla domestica di cercare aiuto e poi rivolge l’arma contro la sua tempia, ma questa si inceppa. Fugge via in preda alla disperazione.

Ma cosa ci fanno due russi a Venezia e quali sono le motivazioni di un tale gesto? Ve lo racconto io, ma andiamo con ordine.

I due sono accomunati dall’amore per una bella nobildonna ucraina: Maria Tarnowsk. È figlia del conte Nikolay Moritsevitch O’Rourke, un ufficiale navale russo di origini irlandesi, e della sua seconda moglie Ekaterina Seletska, una nobildonna di origine cosacca. Nata il 9 giugno del 1877, cresce in una ricca famiglia aristocratica, circondata dagli agi, e riceve un’ ottima educazione. La morte della madre, quando Maria è ancora giovane, non ne mina la serenità.

 Da tutti è indicata come una ragazza splendida. Eredita dal padre i tratti distintivi irlandesi: carnagione candida, capelli rossi e occhi azzurri. Dalla madre il fisico statuario e il portamento elegante. Fin da giovanissima i pretendenti non le mancano e le procurano qualche grattacapo: a quattordici anni viene espulsa dal ricco collegio privato che frequenta per via di una relazione sconveniente con un suo insegnate e quando la sorella maggiore si appresta a prendere marito lei lo ammalia al punto da convincerlo a rompere il fidanzamento. Così, ancora diciassettenne, nonostante il divieto della famiglia e inscenando perfino una fuga d’amore, sposa il conte Vasilij Tarnowski.

Lui è bello, affascinante e ricchissimo: i due diventano una delle coppie più ammirate del mondo di Kiev. Ma l’idillio dura molto poco perché il conte è soprattutto un incallito libertino. “…mio marito mi volle sempre con sé. Trascinò la mia ignara adolescenza di ritrovo in ritrovo, a cene, gozzoviglie, baldorie, orgie; compiacendosi dei miei   successi, divertendosi delle mie ingenuità. La mia innocenza fu travolta   nel maëlström della sua vita libertina … egli fu un maestro appassionato e terribile, un mentore del male, un apostolo dell’impurità” dice Maria di quegli anni in un memoriale.

Alla base della sua infelicità con il marito c’è tuttavia la solitudine: Vasilij è spesso via per viaggi di lavoro, nei quali è solito farsi accompagnare da donne giovanissime e avvenenti, e lei è sola. Si abbandona così alla avances dei tantissimi ammiratori che continuano a corteggiala nonostante le fresche nozze.  Nel 1895 nasce il suo primo figlio: c’è il dubbio che il conte non fosse presente al momento del concepimento, di sicuro non è presente al parto. Come sempre, è in viaggio e Maria trascorre la sua gravidanza in compagnia di Piotr, fratello del marito, e del suo medico personale, il barone Vladimir Shtal. Entrambi sono innamorati della giovane.

Subito dopo la nascita, il bambino viene affidato ai nonni paterni e la coppia decide di partire per un viaggio di piacere in Italia. Per Maria questa seconda luna di miele è la speranza di rinvigorire un amore che si è affievolito. Ma il conte spazza subito via ogni dubbio portando con sé Olga Kralberg, l’amante del momento. Pochi giorni dopo la partenza, una notizia raggiunge la coppia: Piotr si è tolto la vita, impiccandosi. Alla base del gesto c’è l’amore impossibile per la cognata. Il conte è sconvolto, Maria è delusa e infelice e decide di trovarsi un amante.

Il prescelto è il conte Aleksej Bozewski. Maria ha per lui una passione accesa e si fa imprudente. Forse vuole ripagare il marito della stessa moneta e rende il loro rapporto pubblico. Anche il conte ne è a conoscenza e una sera, al termine di una cena alla presenza degli amanti di entrambi, gli spara ferendolo gravemente. Bozewski muore dopo qualche mese di agonia, anche se le cronache dell’epoca parlano di suicidio per ingerimento di morfina che il conte assumeva in grandi quantità per placare gli atroci dolori.

Il conte Tarnowski non viene arrestato perché secondo i giudici è giustificato: è vittima dei continui tradimenti della moglie. Per Maria il matrimonio è giunto al capolinea. Lascia il marito e torna a Kiev, ma non ha un posto dove stare. Decide quindi di alloggiare in albergo e inizia a fare uso di morfina. Ha bisogno di qualcuno che si faccia carico delle sue esose esigenze e lo trova in un avvocato sposato di nome Donat Prilukov.

Prilukov l’aiuta a ottenere il divorzio dal marito. Lui stesso lascia la moglie e la famiglia per correre dietro alle richieste della pressante amante. Per lei trascura il lavoro e truffa i propri clienti, prelevando ingenti somme dai conti su cui agisce come tutore legale. Lo scandalo che ne segue è enorme e la coppia deve lasciare Mosca per evitare l’arresto. Maria lo induce anche all’uso di droghe, morfina soprattutto, che le fornisce il dottor Shtal.

Per il medico personale la donna è un’ossessione: per lei ha fornito al conte Bozewski la morfina con cui si è tolto la vita e non riesce a sostenerne il senso di colpa. Inoltre, la presenza di Prilukov e la vita dissoluta che i due amanti conducono,  gli fanno intendere che la sua passione è destinata a rimanere insoddisfatta. Decide quindi di togliersi la vita, ingerendo del veleno. Per Maria è un fastidio e motivo di stizza: è assuefatta alla morfina e senza il dottore non sa come procurarsela. Ci pensa il solito Prilukov che continua a indebitarsi per lei e viene perfino espulso dall’ordine degli avvocati.

Nel 1904 Maria apprende della morte della moglie del conte Pavel Kamarovski. I due si conoscono da tempo e il conte, oltre a essere molto ricco, ha sempre dimostrato un certo interesse per lei. Decide che è il momento propizio per approfondire la conoscenza e in brevissimo tempo ne diventa l’amante. Kamarovski è una decina d’anni più grande di lei e si offre subito di sposarla.

Maria è riluttante a un nuovo legame matrimoniale: ha  assaporato la libertà e non è disposta a rinunciarci facilmente, ma capisce anche che il conte può essere la sua ultima occasione e cerca di coglierla. Si trasferisce con lui a Orël, sul fiume Oka. Prilukov è devastato: senza soldi, senza lavoro, solo, implora l’aiuto dell’amata.

La donna non è indifferente alle sue richieste, soprattutto perché è ancora l’avvocato a procurarle la droga di cui è schiava. Parla con il promesso sposo e facendo leva sui suoi sentimenti gli racconta di avere un grosso debito con un avvocato, amico di famiglia, a cui deve la sua salvezza nei momenti bui della fine del suo primo matrimonio. Kamarovski si lascia impietosire e si offre di saldare tutti i debiti con un generoso assegno che i due complici si dividono.

I sentimenti di Maria sono ambivalenti: da una parte è grata al futuro marito e intenzionata a mettere la testa a posto, dall’altra non esita a truffarlo in complicità con il vecchio amante. In questo momento di confusione conosce un amico del conte, il giovane Nikolaj Naumov. Lui è un cronista e uno studente, sposato, diligente, ma anche debole e facilmente influenzabile. Circuirlo è un gioco da ragazzi per la contessa. Gli incontri tra i due si fanno più frequenti quando Kamarovski è a Venezia dove sta concludendo l’acquisto di Palazzo Maurogonato, dove vorrebbe andare a vivere.

La relazione tra i due amanti è ad alto tasso erotico: la contessa è solita spegnere le sue sigarette sulla mani del ragazzo, come gesto di sadica sottomissione, gli tatua le sue inziali su un braccio con un pugnale e poi lo disinfetta con la sua acqua di colonia. Lui fa altrettanto con lei. Il sesso tra loro è furibondo: Prilukov ne è geloso, soprattutto perché la contessa lo obbliga ad assistere senza possibilità di partecipare ai loro amplessi.

Quando Maria raggiunge Kamarovski a Venezia, sia Naumov che Prilukov fanno la spola per vederla. La donna è sempre più confusa: da una parte il giovane e focoso amante, dall’altra il vecchio amico che continua a procurarle le droghe di cui non può fare a meno. Nel mezzo, il futuro marito che, nonostante conduca una vita sfarzosa, non è ricco come lei aveva creduto.

Inizia allora a elaborare un piano di cui Prilukov è in parte complice in parte pedina inconsapevole. Maria lo convince del disgusto che prova per il futuro marito e gli illustra il suo piano. Ha convinto il conte a stipulare un’assicurazione sulla vita di 500.000 Lire a beneficio suo e del figlio Tioka, che proprio grazie all’uomo è riuscita a sistemare in un ottimo collegio. Prilukov deve uccidere il conte e una volta incassato il denaro potranno riprendere insieme la vita lussuosa di un tempo. Inizialmente l’avvocato è entusiasta ma, da buon vigliacco, si tira indietro quando c’è da mettere in atto l’omicidio. I due devono ripiegare su qualcuno su cui far ricadere la colpa.

La scelta cade, quasi naturalmente, su Naumov. Maria gli manda delle missive in cui dice di amarlo e di essere stata maltrattata da Komarosky quando questo ha scoperto la loro relazione. Prilukov scrive una lettera firmandola Kamarovski nella quale insulta la compagna e Naumov. Quando Naumov la legge va su tutte le furie, deciso a vendicare l’onore della sua amata.

Arriviamo al 4 settembre del 1907: Maria è a Kiev, dove si è recata a conoscere la famiglia del futuro marito. Raggiunta dalla notizia dell’attentato torna in Italia al capezzale del compagno morente ma viene arrestata alla stazione di Venezia. Nikolaj Naumov, arrestato poche ore dopo l’omicidio mentre tentava di fuggire, ha confessato tutto. Passa qualche giorno e Prilukov viene arrestato a Vienna e trasferito in Italia per essere processato.

Maria Tarnowska dichiara di conoscere l’assassino del compagno e racconta il rapporto di amicizia che lo lega al conte. Racconta anche di aver chiesto l’aiuto dell’avvocato Prilukov perché il giovane si è invaghito di lei e per tale motivo si sentiva in pericolo di vita. Gli inquirenti non le credono e confermano l’arresto: la donna viene tradotta alla casa circondariale della Giudecca.

Nel processo che ne seguirà, iniziato nel 1910 e terminato nel 1912, la Tarnowska è riconosciuta complice dell’omicidio e condannata a 8 anni e quattro mesi di reclusione. Nikolaj Naumov, esecutore materiale del delitto, è condannato a 3 anni e un mese perché riconosciuto isterico, mentre Donat Prilukov, anche lui riconosciuto complice, è condannato alla pena di 10 anni.

Cristina Crì

Si definisce una donna innamorata: innamorata della propria famiglia, del proprio lavoro, della vita. Innamorata del suo Andrea. Viaggia spesso per lavoro e piacere e nel poco tempo libero ama leggere, scrivere e collezionare intimo con cui stupire il suo lui.

Architetto e scrittrice, di base a Milano, vive e lavora gran parte dell’anno nella Penisola arabica dividendosi fra la passione per il design e quella per la scrittura.

La trilogia “Il mio Andrea” sorprende il pubblico con un romanzo autobiografico di profonda introspezione che porta il lettore per mano nei difficili meandri dell’amore incestuoso.

Liberatevi da ogni preconcetto e non potrete non amare i suoi personaggi. Calatevi senza pregiudizi nelle sue storie d’amore in cui il sesso, tanto, di qualità e ben raccontato, sarà di ispirazione per i vostri rendez-vous più peccaminosi.