Sensazioni
Cap 14 - Un uomo da sogno
Un pochino di quel che ti piace
fa sempre bene.
Antico proverbio inglese
Mentre il sole tramontava dietro le vette che circondano e proteggono il lago di Como, Mark e Cristina nuotavano nudi nella grande piscina sul retro di villa Marta avvolti in un’irreale luce arancione che sfocava le immagini e gettava ovunque strani e affascinanti riflessi dorati.
La giornata era stata a dir poco torrida, con temperature record anche per la calda estate italiana, ma per fortuna dal lago arrivava una fresca brezza dolciastra che almeno per la serata sembrava in grado di sciogliere la morsa del caldo.
Per strada, centinaia di persone intrappolate in interminabili fila di auto rumorose, facevano ritorno a casa dopo una giornata passata sulle rive di quello splendido specchio d’acqua. C’erano tranquille famiglie esauste ma soddisfatte dalla bella giornata, gruppi di giovani festaioli che con ogni probabilità avrebbero rifatto il percorso inverso nel giro di poche ore, coppiette troppo prese dal loro amore per interessarsi a qualcos’altro, donne e uomini normali desiderosi solo di arrivare a destinazione quanto prima.
Nessuno di loro aveva trascorso buona parte della mattina e tutto il pomeriggio in camera da letto e nessuno di loro aveva quell’espressione di beata soddisfazione stampata sul volto dei due giovani amanti.
Eleonora era andata via da poco più di un’ora e da allora erano stati immersi nell’acqua fresca, senza dire una parola, nuotando pigramente avanti e indietro oppure immobili, aggrappati al bordo o ai sostegni della vasca. Di tanto in tanto si lanciavano occhiate infuocate oppure si sfioravano brevemente, ma per nulla al mondo uno dei due avrebbe rotto quella magia silenziosa che si era instaurata fra loro.
Cristina non si era mai sentita così vicina a qualcuno come in quel momento; Mark era entrato nella sua vita solo da pochi giorni eppure sentiva di amarlo più di quanto avesse mai amato in tutta la sua vita e il fatto stesso di essere così innamorata la faceva sentire euforica e gaudente. Era così diverso dai ragazzi ingenui e immaturi che aveva frequentato fino ad allora; era sensibile, gentile, intelligente e allegro, ma soprattutto era molto disponibile nei confronti di tutti. Si sforzava di comprendere gli altri, di intuire pensieri e stati d’animo da poche sussurrate parole o da piccoli gesti apparentemente insignificanti, di prevenire richieste e desideri e, cosa assai importante, sembrava libero da ogni pregiudizio, aperto al dialogo e alla discussione, sempre pronto ad accettare idee diverse dalle proprie.
«Che ne diresti di fermarti qui per un po’?! In Italia intendo!» Disse senza accorgersi dei suoi pensieri che prendevano forma improvvisamente.
Mark la fissò stupito per qualche istante, poi nuotò nella sua direzione tenendosi a pelo d’acqua e movendo le gambe e le braccia lentamente. La raggiunse in pochi secondi e cominciò a girarle intorno come uno squalo intorno alla preda, apparentemente calmo e controllato anche se nel suo animo si agitavano centinaia di passioni contrastanti.
Voleva sinceramente bene a quella ragazza; forse non ne era innamorato veramente ma i sentimenti che provava per lei si avvicinavano molto all’amore. Le era grato perché grazie a lei era riuscito a scacciare l’ingombrate fantasma della direttrice Signorit, ma non era solo per gratitudine che si sentiva così legato. In qualche modo sentiva di appartenerle, come due metà divise e ritrovate, ma non aveva ancora preso in considerazione l’idea della partenza e dell’inevitabile separazione.
«A Milano c’è un’ottima università,» riprese lei stanca di trattenere il fiato in attesa di una sua reazione «e sono sicura che ti troveresti molto bene. Certo, Milano non è Los Angeles, ma sono sicura che ti piacerà. Possiamo prendere un appartamento insieme e conoscerai tutti i miei amici. Ci divertiremo un mondo!»
«Aspetta, aspetta! Frena un attimo! Hai cominciato usando il condizionale e hai finito col futuro, come se fosse scontato che avrei accettato la tua proposta.»
«Perché, non ti piace?»
«Non ho detto questo, solo non sono decisioni che puoi prendere sull’onda dell’entusiasmo. Ci conosciamo da una settimana appena e tu già mi proponi di trasferirmi in Italia e andare a vivere insieme. Quale sarà il prossimo passo, il matrimonio?»
«Non ti nascondo che ci avevo pensato.» Rispose lei sorridendo mentre gli buttava le braccia al collo. «Scherzi a parte, non volevo sconvolgere la tua vita e ti chiedo scusa se sono stata un po’ precipitosa, ma sono convinta che sarebbe una soluzione perfetta. Riflettici: non sarebbe straordinario vivere insieme, fare l’amore tutte le mattine appena svegli e tutte le sere prima di andare a dormire e poi ogni volta che ci va.»
«Non credi che dopo un po’ ci stancheremmo anche di quello?»
«Non credo che ci stancheremo mai una dell’altro, ma se questa è la tua paura allora ti prometto che troveremo sempre nuovi stimoli.»
«Guarda che c’è altro oltre il sesso!»
«Davvero? Ne sei sicuro?» Lo baciò piano sulle labbra. «Niente ha importanza quando siamo insieme; siamo sempre così presi a farlo che se il mondo finisse non ce ne accorgeremmo neanche! E poi fra noi c’è molto più del sesso; c’è intesa, passione, complicità, senza contare che andiamo molto d’accordo.»
«E che ne diresti di venire tu a Los Angeles? In fondo come città è indubbiamente migliore di Milano: mare e sole tutto l’anno, le spiagge più belle del mondo e uno stile di vita decisamente superiore a ogni altra città.»
«Hai ragione, ma vedi, tutti i miei affetti sono qui in Italia, qui ci sono le mie radici, qui vivono i miei genitori. Non sono mai stata all’estero se non per vacanza e mai per più di un mese. Per te è diverso! I tuoi vivono dall’altra parte del pianeta, hai vissuto in tanti paesi diversi, non hai difficoltà ad adattarti a una nuova vita. Senza contare che qui il cibo ti piace molto e che il tuo italiano è senza dubbio migliore del mio inglese.»
«Per quando l’idea mi alletti, non posso restare in Italia. Cosa credi che succederebbe se le cose fra noi non dovessero andare bene!? Mi ritroverei intrappolato qui e col tempo finirei per odiarti e credimi…è l’ultima cosa che voglio.»
«Non posso dire o fare niente per convincerti?»
«Non credo! Ma questo non significa che non ci vedremo mai più. Per cominciare io ho ancora una settimana da trascorrere in Italia e mi piacerebbe trascorrerla in tua compagnia, poi avevo pensato di fare un giro in Austria e se ti va possiamo partire insieme. Verrai a trovarmi appena mi sarò stabilito nella mia nuova casa e io verrò da te in vacanza durante l’estate. Dicono che due persone lontane che si incontrano sporadicamente spendono tutto il loro tempo insieme a recuperare il tempo perduto; pensa a quello che faremo io e te.»
«Credo di amarti sai!»
Questa sua ultima uscita era stata tanto improvvisa quanto inattesa per entrambi. Cristina aveva capito da tempo i suoi sentimenti nei confronti di Mark, ma non pensava che avrebbe mai trovato il coraggio di dirlo così apertamente. Ma più che coraggio la sua forza veniva dalla disperata certezza di perdere un ragazzo così eccezionale e da una sensazione di impotenza che l’aveva assalita dal momento in cui aveva capito che lui non sarebbe rimasto.
Per Mark quella rivelazione così ostentata rappresentava un’ulteriore difficoltà, un pesante macigno in grado di scalfire la sua determinazione e la sua volontà. Non era un insensibile e per sua natura avrebbe fatto tutto il possibile per accontentare le sue richieste, ma al momento l’unica soluzione razionale consisteva nell’ignorare i suoi sentimenti e persuadersi che fra loro non ci fosse nulla. Del resto, lei aveva sempre mandato messaggi contraddittori; di solito era dolce e affettuosa, ma c’erano state diverse occasioni in cui aveva mostrato il suo lato cinico ed egoista. Convincersi che non provava nulla per lui era stata una scelta di comodo vanificata dalla sua ultima affermazione.
«Allora? Non dici nulla? Ho detto che sono innamorata di te!» Incalzò Cristina che non riusciva a sopportare il suo muto silenzio.
«Ho sentito…e comunque credo di saperlo da già da un po’, solo che fino ad ora ho preferito ignorarlo. Ma il fatto che tu mi ami e che anche io provo qualcosa per te, non modifica la mia decisione. Certo, anche io vorrei stare con te, poterti conoscere meglio, vederti sorridere e farmi contagiare dalla tua allegria o esserti accanto quando non stai bene, ma questo non significa rinunciare a tutto quello che avevo programmato o a tutto quello per cui ho faticato duramente. L’ammissione alla Los Angeles University non è stata impresa da poco; fra trentamila candidati ogni anno vengono selezionati solo mille futuri allievi. È un’opportunità troppo grossa per essere buttata via per un capriccio. Per questo ti chiedo di lasciarmi partire senza drammi o rimpianti, perché il peso di una tale scelta rischierebbe di schiacciarmi.»
«È questo che pensi di me? Sono solo un capriccio?» La voce alta celava un pianto soffocato.
«Accidenti, no! Prima di venire qui ho avuto una relazione con una donna più grande di me, relazione che purtroppo è finita male perché è sfuggita al controllo di entrambi. Eravamo troppo presi uno dall’altra per fermarci a riflettere sulle conseguenze e quando inevitabilmente siamo arrivati a dover fare una scelta non ci siamo più trovati; ognuno è andato per la sua strada senza neanche il ricordo di un saluto. Credimi, è stata una cosa che mi ha dilaniato profondamente e anche per lei credo sia stato lo stesso, anche se, come ti ho detto, non c’è stato modo di affrontare la cosa insieme. Comunque, credo che alla fine, pur con tutte le sue sofferenze, quella storia mi abbia insegnato molto e adesso sono molto più restio ad aprirmi completamente ad un’altra persona. Ti ho raccontato tutto questo perché tu sei stata un’eccezione. Nel momento in cui ti ho rivista quel pomeriggio all’ingresso mi sei entrata nell’anima; da subito fra noi c’è stata una sintonia che non avevo mai provato con nessun’altra e dal primo istante ho capito che rinunciare a te sarebbe stato troppo difficile; per questo ho preferito ignorare quello che anche tu sembravi provare per me e illudermi di essere solo una piacevole ma fugace avventura.»
«Non ti ho mai considerato un’avventura!» Ribatté lei mentre grosse lacrime rigavano il suo bel viso.
«Ma era quello che io volevo credere, per rendere il nostro rapporto più semplice, libero da legami sentimentali difficili da gestire. E se le cose fossero rimaste così forse sarebbe stato meglio per entrambi, perché ora tu non staresti piangendo e io non starei così male al pensiero delle sofferenze che ti sto procurando.»
Cristina lo fissò con gli occhi gonfi per il pianto e la vista annebbiata dalle lacrime, intenerita dal suo sguardo triste che lasciva trasparire un sincero rammarico. In fondo non era colpa sua se si era innamorata di lui e chiedergli di rimanere era stato sciocco oltre che egoista. Lui aveva dei progetti, delle aspirazioni, e lei non aveva il diritto di chiedergli di rinunciare a tutto questo solo per la sua felicità. Non avrebbe dovuto metterlo in difficoltà in quel modo rivelando così bruscamente i suoi sentimenti, ma era quello che sentiva e in fondo era felice di essersi tolto un tale fardello. Se non l’avesse fatto con ogni probabilità l’avrebbe rimpianto per il resto della sua vita; ora si sentiva libera e leggera e anche se ancora non riusciva a trattenere le lacrime era felice e serena, conscia di non aver sprecato un’opportunità.
«Mi dispiace di aver detto quello che ho detto, non perché non lo penso ma perché ti ho messo in difficoltà e non avrei dovuto, ma se non l’avessi fatto probabilmente mi sarei consumata fra dubbi e incertezze. In fondo è meglio vederti partire con la consapevolezza che anche tu provi qualcosa per me piuttosto che tormentarsi inutilmente, non trovi?»
«Credo che tu abbia ragione, anche se questo non mi aiuta a sentirmi meglio. Mi dispiace che tu soffra a causa mia!»
«Non pensarci e preoccupati invece di rendere indimenticabili gli ultimi giorni che abbiamo da passare insieme, perché quando partirai voglio avere di te i più bei ricordi della mia vita. Promettilo!»
«Te lo prometto! Possiamo fare tutto quello che ti va!»
«Proprio tutto?» Chiese lei mentre un’idea balenava nella sua mente e gli occhi brillavano per l’eccitazione.
«Tutto!»
«Bene! C’è un ristorante vicino al lago, che ha una terrazza affacciata proprio sull’acqua e dalla quale si gode un panorama meraviglioso. È uno dei posti più esclusivi di tutta la Lombardia, forse anche di tutta Italia, e naturalmente anche uno dei più cari, ma la cucina è deliziosa e l’atmosfera è davvero magica. È da tanto che sogno di andarci, ma per prenotare un tavolo bisogna chiamare con almeno un mese di anticipo e poi non ho mai trovato nessuno disposto ad accompagnarmi. Ti va di andarci insieme?!»
«Dammi il nome, così chiamo e provo a riservare un tavolo.»
«Ho un loro biglietto da visita da qualche parte in camera mia, sul quale c’è anche il numero di telefono. Posso cercalo anche subito se ti va.»
«Non c’è bisogno. Dammi il nome, poi cerchiamo sull’elenco!»
«Il ristorante si chiama La Primula ed è all’interno di una magnifica villa settecentesca a pochi chilometri da Como, ma oggi è chiuso quindi dovrai provare domani.»
«Sono le sette» interruppe lui fissando l’orologio subacqueo che aveva al polso «credi che troveremo qualche negozio ancora aperto?»
«Al centro di Como si!» Rispose lei meravigliata dalla strana richiesta. «Durante l’estate di solito sono aperti fino a mezzanotte. Ti verve qualcosa in particolare o vuoi solo fare un giro?»
«Mi serve un vestito! Non posso mica portarti a cena nel migliore ristorante d’Italia in jeans e maglietta.»
«Allora conosco una sartoria che fa al caso tuo. Mio padre è loro cliente da oltre vent’anni. Possiamo andarci domani.»
«Ne ho bisogno stasera!» Rispose lui asciutto.
«A parte il fatto che non credo riescano a farti un vestito entro stasera, a cosa ti serve? Perché tutta questa urgenza?»
«Perché stasera siamo a cena in quel ristorante!» Fu la sua risposta laconica.
«Allora sei sordo! Ti ho già detto che stasera è chiuso!»
«Non per me! Corri a casa, fai una doccia e metti il vestito più elegante che hai. Non perder tempo a farti bella perché sei già fantastica. Passo da te per le undici!»
«Tu sei matto!» Ribatté lei incredula.
«Forse! Prima di andare mi spieghi dov’è la sartoria di cui parlavi prima?»
«Tu sei proprio matto!»
Alle undici meno un quarto, vestito di tutto punto, Mark imboccò il viale lastricato che serviva da accesso per la villa di Cristina. I quindici minuti d’anticipo erano una piccola vittoria. In meno di quattro ore era stato a Como, aveva trovato, non senza difficoltà, la sartoria che gli era stata indicata e aveva pagato un prezzo esorbitante per un abito da uomo in lino che aveva dovuto adattare alle sue esigenze. All’inizio il proprietario aveva fatto qualche difficoltà, ma lui era stato inamovibile e dopo una lunga discussione una decina di persone si davano da fare alacremente intorno a lui per soddisfare le sue richieste; un gruppo si occupava della giacca, sistemando la lunghezza delle maniche, un altro dei pantaloni, un altro ancora della camicia. Una ragazza molto sveglia, sulla trentina, aveva pensato ad accessori come cinta, scarpe e cravatta mentre lui si destreggiava provando diversi modelli. Quando la situazione sembrò più calma si attaccò al telefono e fece di tutto per convincere il direttore del ristorante a lavorare anche il giorno di chiusura; dovette affittare tutta la villa, ma alla fine riuscì ad ottenere quello che voleva.
Dopo tre ore di intenso lavoro il vestito era risultato perfetto; blu scuro, piuttosto leggero, di taglio classico, si adattava benissimo alla carnagione chiara e al suo fisico alto e muscoloso. La camicia di cotone bianco e la cravatta si armonizzava bene all’insieme, così come le scarpe in pelle nera e la cintura abbinata con la fibbia dorata. Era riuscito perfino a fare una doccia prima di vestirsi e saltare in auto.
Suonò il campanello tirando un lungo sospiro per allentare la tensione accumulata nelle ultime frenetiche ore. Venne ad aprire la stessa ragazza che l’aveva accolto la prima sera. Stavolta non indossava la divisa nera riservata ai ricevimenti ma una gonna scura e una camicia bianca più sobria e informale; Mark la squadrò attentamente e si accorse che era molto bella. I capelli di un rosso intenso ricadevano sulle spalle morbidi e vaporosi incorniciando un viso dai tratti gentili e delicati e lasciando scoperto il bel collo sottile. La scollatura della camicia lasciava intravedere un seno piccolo ma perfetto per forma e consistenza, mentre la gonna fasciava i bei fianchi stretti e lasciava scoperte le gambe sottili e affusolate. Davvero una bella ragazza, ma ogni confronto con la padrona di casa sarebbe stato impietoso.
Cristina aveva sentito il rumore di un’auto che percorreva il viale d’ingresso a velocità moderata. Aveva subito pensato a Mark. Per la verità lo aveva pensato continuamente da quando si erano lasciati e questo chiaro sintomo di innamoramento acuto la faceva sentire euforica e gaudente. Continuava a sorridere come una adolescente alla prima cotta e si sentiva un po’ stupida, ma era felice come non le capitava da tempo.
Ammirò la sua immagine riflessa in un grande specchio con la cornice in legno di faggio e si sentì irresistibile. Dall’armadio prese una piccola borsetta nera con una sottile tracolla color argento e vi infilò un rossetto e un porta cipria. Appoggiò la tracolla sulla spalla destra e si voltò ancora in direzione dello specchio. Sorrise alla splendida ragazza che aveva di fronte e si avviò.
«Il Signore desidera?» Chiese la ragazza fissando Mark con un’espressione cortese.
«Sono qui per la Signorina Cristina!»
«Vado a chiamarla! Se intanto vuole accomodarsi…»
«Vai pure Laura! Ci penso io!»
Mark alzò gli occhi in direzione di quella voce suadente. In cima alla grande scala di marmo bianco Cristina lo fissava con un ampio sorriso. Era splendida come sempre. Un bel vestito nero fasciava il suo corpo perfetto lasciando scoperte le spalle e le braccia. Il bel seno era messo in mostra da una scollatura generosa e le lunghe gambe facevano capolino da uno spacco vertiginoso che dal fianco destro arrivava fino alla caviglia sottile. Un paio di scarpe eleganti, sempre nere, con tacco alto e sottile, completava il quadro.
Mark la osservò estasiato mentre scendeva lentamente, un passo dopo l’altro, la lunga scalinata decorata con colonnine e piccoli capitelli sui lati. Il suo incedere leggero e elegante la rendeva simile una dea che dall’Olimpo venga sulla Terra a donare la bellezza agli occhi dei mortali. Nessuno, uomo o donna che fosse, si sarebbe potuto sottrarre al suo fascino e a quello strano magnetismo animale che sembrava emanare a ogni movimento.
«È particolarmente bella questa sera.» Disse la ragazza con una punta di invidia nella voce. «Devo avvisare i suoi genitori che tornerà tardi?»
«Non sono affatto certa di tornare, quindi li avvisi che forse passerò la notte fuori. Se ci dovessero essere delle emergenze può contattarmi al cellulare. A proposito, le dispiacerebbe fare un salto nella dependance e portarmelo? Dovrebbe essere sul tavolino all’ingresso.»
«Vado subito.» E si mosse in direzione dell’uscita posteriore.
«Non ti dispiace aspettare qualche minuto vero?!» Disse rivolgendosi a Mark. «Sei in anticipo e per abitudine non sono mai puntuale agli appuntamenti galanti. Mi piace far attendere i miei spasimanti: una misura del loro amore per me è data dai minuti di ritardo che riescono a resistere.»
«Mi sembra che tu sia pronta!?» Rispose lui asciutto. «E poi, per una donna così eccezionale sarei disposto a tutto. Questa è per te!» Da dietro la schiena fece comparire una rosa rossa dal gambo incredibilmente lungo appena sbocciata.
Lei la afferrò con delicatezza e la portò al naso per catturarne i dolci effluvi. “Come riesce ad essere sempre così gentilmente disarmante?” si chiese mentre fissava i suoi dolci occhi azzurri “Come riesce continuamente a sorprendermi? È possibile che esista una persona così fantastica?”
«Sei riuscito a trovare la sartoria!» Disse lei mentre accarezzava il bavero della giacca nuova.
«Sì, anche se le tue indicazioni erano pessime!»
«Le mie indicazioni erano perfette, sei tu che sei privo di senso dell’orientamento. Hai già deciso cosa fare stasera?»
«Pensavo fossimo d’accordo!? Ceniamo a La Primula!»
«Vuoi scherzare?»
«Assolutamente!»
«Come ci sei riuscito?» Chiese lei incredula.
«Non ci sono cose che una donna come te desidera e non può avere!»
«Se sei solo un sogno, ti prego non svegliarmi!» Avvicinò piano le labbra alle sue e lo baciò lievemente.
«Il suo telefonino Signorina!»
«Grazie tante Laura!» Si voltò prese il cellulare dalle mani della ragazza e la congedò con un gesto del capo. Attese che sparisse in una stanza alla fine del lungo corridoio e si rivolse nuovamente al suo amante. «Ho una tale voglia di mangiarti… forse è meglio che andiamo…»
«Già, è meglio! E poi ho fame!»
La Primula è una antica villa della prima metà del settecento, immersa in uno splendido parco di quasi quattromila metri quadri, in parte trasformato in vigneto, che si affaccia direttamente sul lago di Como. Fu costruita da un nobile inglese discendente di un ramo cadetto della famiglia reale che adorava l’Italia per il suo clima dolce e mitigato e i suoi vini dal profumo così intenso e dal sapore così pieno. Attualmente ospita un ristorante rinomato per la sua cucina superlativa e per l’atmosfera magica in cui è immerso e un albergo con sole quattro stanze situate al primo piano, meta ambita di ministri e facoltosi vacanzieri.
Sul retro della grande costruzione in mattoni rossi c’è un magnifico pergolato adibito a parcheggio e poco distante una piccola scalinata di marmo fiancheggiata da piante e fiori profumati che porta direttamente al lago.
Il giardino antistante la villa è un labirinto di siepi poco alte, illuminato da piccole torce ad olio e cosparso di panchine in legno dove gli ospiti più romantici possono terminare la serata favoriti dalla magica intimità della notte italiana.
Mark e Cristina posteggiarono la Porsche sotto il pergolato e si avviarono per un piccolo sentiero lastricato in direzione del grande ingresso. Sulla porta ad accogliere gli ospiti c’era il direttore della villa, un uomo robusto, sulla sessantina, con un doppio petto blu impeccabile e un’aria imperiosa ma gentile.
«Vogliate scusarmi Signori, ma stasera il ristorante è chiuso!» Disse con voce fredda ma cortese.
«Lo sappiamo!» Rispose Mark. «Per questo ho chiamato prima!»
«Mi scusi: lei è il Signor Goodwind?»
«Proprio io! E questa è la persona speciale di cui le dicevo al telefono.» Con la destra indicò la ragazza che gli teneva il braccio opposto.
«Chiedo scusa ma per telefono non avevo inteso la sua giovane età. Mi aspettavo una persona decisamente più matura.»
«Crede forse che a una donna così giovane e bella si possa negare quello che si concede a una più matura?!»
«Non è questo Signore; è che forse l’hanno indirizzata male.»
«Non credo proprio, visto che a consigliarmi questo posto è stata proprio la Signorina al mio fianco.»
Cristina intanto sorrideva divertita dal gentile diverbio fra due persone educate che per nulla al mondo avrebbero scostato la conversazione dai toni pacati con i quali era cominciata. Conosceva abbastanza bene Mark da sapere quanto lo infastidisse essere trattato in quel modo e poteva immaginare quali erano i pensieri che passavano per la testa di un italiano dal temperamento fiero e impetuoso; eppure entrambi si trattenevano per amore dell’etichetta e dell’educazione. Un’altra qualità di Mark che avrebbe rimpianto.
«Forse c’è stato un errore…»
«Ne sono sicuro!» Incalzò Mark che oramai cominciava ad essere stufo di quella conversazione. «L’errore è stato presupporre che in Italia vi fosse qualcuno in grado di smentire la brutta fama che vi accompagna all’estero. L’errore è stato credere che foste all’altezza della vostra reputazione e dei vostri prezzi faraonici e se non fosse per la splendida notte stellata sarebbe un errore anche restare qui fuori a parlare con lei.»
«Non volevo essere scortese.»
«Forse non voleva ma c’è riuscito benissimo. Lei ha preso un impegno con me e ora mi aspetto che lo rispetti.»
«Naturalmente! Vogliate seguirmi!»
Varcato l’ingresso furono introdotti in un piccolo salone illuminato soltanto dalle candele accese sui pochi tavolini disposti in modo irregolare. Le piccole fiammelle lanciavano strani riflessi irregolari sulle pareti riccamente affrescate e proiettavano un’irreale luce rossastra per tutta la stanza.
Si accomodarono a un tavolino posto al centro del salone, l’unico apparecchiato di tutta la sala, e subito una piccola orchestra iniziò a suonare un pezzo di Vivaldi. Tornò il direttore con due menù sotto il braccio e li porse ai due ospiti con cortesia e gentilezza, quasi non ci fosse mai stato il diverbio di poco prima.
«Mentre scorrete con calma il menù gradireste un aperitivo? Forse una coppa di spumante vista l’ora?» Chiese con la sua voce calda e vellutata.
«Penso che una bottiglia sia il modo migliore di accettare le sue scuse e cominciare la serata.» Rispose Mark con accento sarcastico.
«Provvedo subito.» Rispose lui e sparì veloce in direzione delle cucine.
«Ti adoro quando sai farti valere in questo modo!» Commentò Cristina divertita.
«Pensavo che mi adorassi sempre!?»
«In alcune occasioni più del solito!»
«Ecco la vostra bottiglia!» Interruppe un cameriere in livrea nera. «Vuole che la apra o preferisce pensarci lei!»
«Ci pensi lei, ma prima dobbiamo cambiare tavolo!»
«Mi scusi…» balbettò il cameriere allibito dalla strana richiesta. Cristina lo fissava incuriosita.
«Vista la splendida serata, sarebbe un delitto non cenare sulla terrazza sotto le stelle; non crede?!»
«Forse è meglio se ne parla col direttore?!» Rispose il cameriere incredulo e si avviò dubbioso verso il fondo della sala. Il direttore arrivò dopo pochi istanti.
«C’è qualcosa che non va Signore?! Forse questo tavolo non la soddisfa?!»
«Non c’è niente che non vada in questo tavolo, ma al telefono le avevo espressamente chiesto di cenare sulla terrazza. Lo scopo di questa serata è accontentare ogni capriccio della Signorina e lei ha scelto La Primula proprio per la sua terrazza affacciata sul lago. Quindi, se non ha nulla in contrario, ceneremo di là.»
«Certamente! Faccio preparare subito! Intanto avete visto qualcosa sul menu che ha colpito la vostra attenzione?»
«Mi fido lei! Ci porti qualcosa di superlativo, qualcosa che stupisca il palato e esalti i sapori di questa splendida penisola.»
«Molto bene. E per quanto riguarda la scelta dei vini?»
«Pensi anche a questo! Mi fido della sua esperienza!»
«Non si preoccupi!»
«Mia cara, torniamo a noi. Mi concedi l’onore di un ballo?» Si era alzato in piedi e con un profondo inchino le aveva preso la mano mentre con l’altra indicava un piccolo spazio libero vicino l’orchestra.
«Sai anche ballare?»
«Non c’è niente che io non possa fare per te.» Con dolcezza la condusse fino alla pista da ballo e lì la guidò con estrema fermezza ed eleganza sulle note di un valzer.
Mentre volteggiava sicura guidata dalle sue braccia forti Cristina si sentì leggera come una piuma e dopo un momento di iniziale smarrimento, dovuto più allo stupore e alla sorpresa, si scoprì a desiderare che la musica non finisse mai.
Lo avrebbe voluto per sempre accanto a sé. Dove avrebbe trovato la forza di rinunciarvi dopo che aveva scoperto che era così meraviglioso? Come avrebbe fatto per il resto della sua vita? Qualsiasi raffronto con gli altri uomini avrebbe solo aumentato la sua straordinarietà; poteva tornare a una vita normale dopo aver bevuto alla fonte degli Dei?
Ballarono fino a quando la piccola orchestra non ebbe finito di suonare e anche dopo rimasero immobili, stretti in un abbraccio leggero. Intanto quattro camerieri avevano rapidamente attrezzato la terrazza per accogliere i due ospiti. Due candelabri erano stati accesi su un tavolo un po’ più grande di quelli disposti nella sala interna e una serie di piccole torce ad olio ornavano la balconata lanciando una luce soffusa e tutto sommato molto gradevole perché lasciava agli occhi la vista del firmamento.
«Ti ho già detto che stare con te è come vivere un bel sogno!»
«Credo di sì, ma sentirselo ripetere fa sempre piacere.»
«Ho fame. Andiamo a tavola?»
«Io ho fame di te.»
«Dopo potrai avermi tutta. E potrai anche mangiarmi se ti va; ma ogni cosa a suo tempo. Ora pensiamo al mio stomaco!»