Sensazioni

Cap 15 - Ricominciamo

Chiedere consiglio circa le regole dell'amore,
equivale a chiedere consiglio circa le regole della follia.

Terenzio, L'eunuco

Una leggera brezza portata dal lago entrò nella stanza e svegliò Mark come il dolce bacio di una bella donna. Allungò la mano in cerca della ragazza al fianco della quale si era addormentato ma il desiderio del suo corpo morbido e invitante restò tale. Aprì gli occhi e una luce accecante lo colse di sorpresa. Aggrottò la fronte per cercare riparo e sollievo nella piccola oscurità artificiale delle palpebre e si guardò intorno.

Un odore acre salì al naso improvviso e violento come una stilettata; era il dolce profumo della creatura che cercava e l’aroma intenso del suo sesso. I ricordi tornavano a galla lenti ma nitidi.

Avevano ballato e poi cenato e poi ballato ancora sulla terrazza affacciata sul lago, illuminati dalle stelle e dal tremore di poche esauste candele. Avevano bevuto tanto, troppo a giudicare da come si sentiva. Il resto era solo nebbia densa e fumosa come quella che scende nelle tristi giornate invernali.

Avevano fatto l’amore, questo gli pareva di ricordarlo, ma era più un’ovvia deduzione che una certezza. Avevano dormito abbracciati stretti, come due cucchiai in un cassetto, perché era così che dormivano ogni volta. Il resto era troppo confuso per sforzarsi di ricordarlo.

Diede un’occhiata all’orologio che aveva al polso. La luce faceva meno male ora che gli occhi si stavano abituando. Erano le undici; non si era mai svegliato così tardi. Di solito dormiva poche ore per notte e adorava alzarsi presto, vedere l’alba e godersi la quiete del mattino. Sentiva la testa pesante e confusa, ma andava via via migliorando e presto sarebbe tornato completamente lucido.

Si mise a sedere sul letto e lasciò che i postumi della sbronza lo abbandonassero definitivamente. L’aria fresca che veniva dalla finestra aperta era una benedizione; il caldo della stanza e l’aria viziata sembravano rallentare i pensieri. Scese dal letto e si guardò intorno: c’erano i suoi vestiti, sparsi dappertutto, e fra questi riconobbe l’abito che indossava Cristina la sera prima. Ai piedi del grande letto matrimoniale scorse un minuscolo tanga nero. Lo raccolse d’istinto, piegandosi veloce in avanti, ma il movimento gli fu fatale. Un’onda di alcool salì dallo stomaco fino quasi alla gola, per poi tornare indietro rapida e importuna come era venuta; non si era ancora ripreso del tutto.

Raggiunse il bagno sperando di trovarvi la sua amata ma anche stavolta il suo desiderio di lei rimase inappagato. Si guardò nel grande specchio rotondo posto sopra il lavandino e lo spettacolo non fu dei migliori. Le occhiaie profonde erano un piccolo e tutto sommato trascurabile dazio da pagare per la notte brava ma il colore insolitamente bianco del viso era preoccupante.

Fece scorrere l’acqua dal rubinetto cromato e si sciacquò il viso. L’acqua fresca, con la sua sferzata rivitalizzante, si portò via le ultime tracce di sonno e subito le guance riacquistarono un colorito quasi normale. Si guardò ancora: questa volta andava meglio. Andava decisamente meglio.

Uscì dal bagno con un senso di sollievo alla testa che sembrava essersi schiarita oramai del tutto. Si guardò intorno in cerca dei boxer che indossava la sera prima. Cristina glieli aveva sfilati quando si erano spogliati a vicenda poco prima di fare l’amore; ricordava perfettamente quando lei li aveva lanciati alle sue spalle con un gesto ampio e molto sexy e ricordava anche di averli visti atterrare sul divano contro la parete di fronte al letto.

Un’ombra familiare apparì sulla tenda bianca della finestra aperta. Mark riconobbe il profilo dalle forme generose della sua splendida compagna; indossò i boxer e la raggiunse.

Cristina era sul grande balcone che dava sul lago, con i gomiti poggiati sulla balaustra di marmo bianco sostenuta da una fila di piccole colonne lavorate e lo sguardo rivolto al piccolo giardino due piani più sotto. Per la prima volta da quando aveva conosciuto Mark era riuscita a svegliarsi prima di lui. Aveva passato una mezz’ora ad osservarlo mentre dormiva, ipnotizzata dal suo respiro calmo e regolare, poi, sopraffatta dal caldo e dall’aria viziata si era alzata. Prima di andare a godersi il fresco del balcone, per evitare di creare confusione e stupore fra i passanti, aveva indossato la camicia di lui, estasiata dall’odore dolce ma deciso che il tessuto sottile aveva rubato alla sua pelle liscia e fu così che Mark la trovò.

La abbracciò alle spalle, cingendola con le braccia intorno alla vita, e la sfiorò sul collo con un bacio appena accennato; un brivido le corse per tutta la schiena. Il suo corpo reagì istantaneamente: sentì la pelle fremere e i capezzoli saltare sull’attenti. Era così ogni volta che lui la toccava o semplicemente si avvicinava a lei; l’energia dei loro corpi era in grado di innescare reazioni che non avrebbe mai immaginato.

«Ti sei svegliata presto stamane!» Esordì lui mentre affondava il viso nei capelli raccolti all’altezza della nuca. Il suo respiro caldo sul collo le diede un altro brivido che si diffuse per tutto il corpo, dalle braccia fino alle cosce. Intrecciò le mani alle sue e lui la accarezzò sul ventre attraverso la trama sottile della camicia.

«È stata una serata fantastica! Volevo ringraziarti; sono stata molto bene!»

«Accetto i ringraziamenti, ma ho fatto davvero poco. Anzi, a giudicare da come mi sento devo essersi sbronzato di brutto e quindi probabilmente non sono stato un amante all’altezza.»

«In effetti la tua prestazione di stanotte è stata davvero penosa, ma visti gli alti standard di qualità che hai dimostrato in questi giorni posso anche perdonarti. Ma fa che non si ripeta ancora!» Risero entrambi mentre lui si stringeva sempre di più a lei, strofinandosi contro la sua schiena e palpandole il seno indecorosamente. Cristina era abituata alle sue mani forti ma gentili che la frugavano per tutto il corpo; erano esperte e sicure e si muovevano su di lei con la passione di chi trae piacere dal dare piacere. Adorava quel tipo di attenzioni per il suo corpo, la facevano sentire bella e desiderata, ma il rapporto con Mark non era fatto solo di fisicità; lui la desiderava anche per il suo cervello e il fatto che i loro corpi si attraessero tanto era semplice delizia aggiuntiva.

Si lasciò accarezzare per un po’, tanto per tenerlo sulla corda e eccitarlo al tempo stesso, poi si voltò di scatto e lo baciò sulle belle labbra carnose con passione e trasporto. In un eccesso d’amore avrebbe voluto mangiarlo e in effetti quasi lo fece perché prese il suo labbro inferiore fra i denti e strinse fino a farlo sanguinare. Lui non parve scosso dalla cosa, perché continuò a stringerla come se niente fosse, serrandole il culo con le lunghe forti mani e tenendola leggermente sollevata da terra.

Cristina sentì sulle labbra il sangue caldo e viscoso e quel sapore dolciastro aumentò la sua eccitazione. Gli passo le braccia intorno al collo e stringendosi forte sollevò le gambe e gliele serrò intorno alla vita. Per un istante Mark parve perdere l’equilibrio, ma le gambe muscolose si adeguarono in fretta al nuovo peso e lui spostò in avanti il baricentro dei due corpi quasi si trattasse di uno solo.

Ora che aveva raggiunto una posizione stabile Cristina poteva tentare qualcosa di più ardito. Sempre tenendosi con le braccia intorno al collo tentò col bacino di raggiungere il suo uccello, sperando di poterlo accogliere nella fica bagnata, ma i boxer di cotone costituivano una barriera insuperabile; a questo punto poteva solo sperare che lui avesse lo stesso suo desiderio e che si ingegnasse per il risolvere il problema.

Subito dopo il suo tentativo a vuoto, quasi le avesse letto nel pensiero, Mark si spinse verso la balaustra di marmo e un po’ rudemente appoggiò il sedere della ragazza sulla pietra fredda. Cristina lo liberò dalla sua presa e si artigliò con le mani ai bordi del parapetto, tenendosi con tutta la forza di cui era capace, perché c’erano quasi dieci metri da terra e l’impressione di pendolare nel vuoto le procurava una forte sensazione di vertigine.

Lui si spogliò con un gesto rapido e deciso, la prese all’altezza delle cosce lasciando che le ginocchia penzolassero oltre le sue spalle e la penetrò con passione.

Cristina venne quasi subito, sia per la posizione, terrificante e affascinante allo stesso tempo, sia per l’impeto con cui lui si muoveva dentro di lei. Sentì le guance accendersi per l’eccitazione, una serie di contrazioni veloci e intense le scossero l’utero lasciandola senza fiato e l’orgasmo sciolse ogni tensione portandosi via tutte le sue energie. Poco dopo sentì anche il piacere del suo uomo che le inondava il ventre con spruzzi lunghi e poderosi e si sentì come se avesse goduto anche lei per una seconda volta.

Rimase immobile, le braccia esauste posate sulla fronte che pulsava e doleva come se fosse stata pronta ad esplodere per la tensione e la fatica, lasciando al suo compagno il compito di sostenerla. Mark la prese con le sue braccia forti e senza uscire dal suo corpo si andò a stendere su un piccolo dondolo in ferro bianco posto alla fine del balcone.

Dopo che si fu sistemato sui soffici cuscini di spugna che rivestivano la struttura in ferro Cristina si abbandonò su di lui languida e sognante. Attese immobile nella sua posizione per una manciata di minuti, quindi scivolò leggera sul suo fianco destro e si rilassò fra le sue braccia, il volto comodamente poggiato sul suo petto liscio e ben scolpito, la gamba destra intrecciata alle sue. Mark la osservò per qualche istante: adorava il suo corpo voluttuoso e sensuale e ancor di più adorava il piacevole calore che si sprigionava ogni volta che i loro corpi si toccavano. Molte volte in futuro gli sarebbe tornato in mente quel piccolo e all’apparenza insignificante particolare.

Anche adesso gli sembrava di sentire distintamente quel calore familiare. Le luci della tangenziale lanciavano strani riflessi sull’asfalto bagnato da una pioggerellina fine ma insistente e come sempre quando era solo in macchina si ritrovava la mente sommersa da pensieri e sensazioni che lui stesso non riusciva a controllare. Di solito partivano piano, quasi in sordina, poi si estendevano velocemente per tutto il corpo e la mente si focalizzava su un pensiero fisso che all’inizio non riusciva a decifrare con chiarezza ma che si delineava poco alla volta, quasi a voler lasciare il gusto della sorpresa o della scoperta.

Accese la radio meccanicamente: sentiva il bisogno di distrarre la mente dai suoi pensieri monotematici. Il cd degli U2 ricominciò esattamente da dove era stato interrotto l’ultima volta. La voce di Bono venne fuori dalle casse poste sul retro dell’auto in tutta la sua forza e sensualità e le note di Losing my religion invasero l’abitacolo di prepotenza. Per quanto adorasse quella canzone spinse con rabbia il pulsante di espulsione del cd: non era certo dell’umore giusto per una canzone romantica e strappalacrime. La radio cominciò a rumoreggiare passando automaticamente da una stazione all’altra alla ricerca della migliore sintonia. Si stufò presto di quei noiosi stritolii e spense del tutto.

Non era da lui comportarsi in quel modo. Di solito era calmo e riflessivo, sempre di buon umore, sorvolava sui piccoli problemi e difficilmente si lasciava sopraffare dai grandi. Aveva i suoi momenti difficili, ma preferiva affrontare le questioni che lo angustiavano con calma e raziocinio. Faceva della serenità interiore un punto di forza e in quel momento era l’unica cosa che sentiva mancare.

Quei flashback sul suo viaggio in Europa lo tormentavano da due settimane oramai. Molti episodi tornavano alla mente con uno strano sapore nostalgico tutto sommato piacevole, la maggior parte era legata al sesso in un modo o nell’altro, ma alcuni avevano lasciato una ferita che dopo dieci anni ancora faticava a rimarginarsi.

In particolare, l’aveva turbato molto il ricordo della storia con la direttrice Signorit: per quanto si fosse sforzato in tutti questi anni di giustificare o comprendere le motivazioni che l’avevano spinta a comportarsi in quel modo ancora non riusciva a non provare rancore. C’era di buono che sulle ceneri di quella travolgente passione era nata la sua amicizia con Cristina.

Dopo quei giorni, trascorsi in Italia i due si erano rivisti spesso nell’arco dei dieci anni: lei era andata a trovarlo in America, lui era tornato Italia più volte, altre volte ancora si incontravano a metà strada, di solito in qualche importante città europea. Stavano insieme tre, quattro giorni al massimo; trascorrevano le giornate in giro fra monumenti e ristorantini caratteristici e le notti in camera da letto a giocare fra le lenzuola. Ogni volta facevano l’amore fino a intossicarsi l’uno dell’altra, poi si lasciavano come sempre con la certezza che si sarebbero rivisti presto.

Si sentivano per telefono regolarmente, almeno una volta la settimana, e in quelle occasioni lei gli raccontava degli uomini con cui era uscita nel frattempo, lui di tutte le ragazze che era riuscito a portare nella sua camera da letto. Il loro rapporto era stupefacente proprio per questo: quando erano insieme non smettevano di fare l’amore, quando erano lontani potevano dedicarsi ai loro piaceri privati senza che questo intaccasse la loro complicità.

Più volte Mark si era chiesto se la loro non fosse paura di impegnarsi, paura di costruire qualcosa insieme o di riporre fiducia in un’altra persona. Era arrivato anche alla conclusione che forse erano solo due egocentrici egoisti disposto a tutto pur di soddisfare i propri desideri. Era stata Cristina a fornirgli una verità alla quale forse non sarebbe mai giunto da solo. Un giorno, in una camera d’albergo a Parigi, quando lui le aveva posto la questione, lei si era fermata di colpo interrompendo quello che stava facendo ed era rimasta immobile, con le labbra arricciate all’insù e una statica espressione assorta sul volto. Poi, dopo qualche minuto di silenzio carico di significati aveva detto:

«Credo, e lo penso sul serio, che sulla terra ci siano solo due o tre persone candidate ad essere il compagno ideale per ognuno di noi. Penso anche che sia raro, nell’arco di un’intera vita, riuscire ad incontrare una di queste; impossibile avere la stessa fortuna due volte. Io e te siamo così: siamo il compagno ideale uno per l’altra e forse dovremmo vivere il resto dei nostri giorni ringraziando il Fato che ci ha fatti incontrare, e invece preferiamo andare contro ogni legge di probabilità e continuiamo a cercare.»

«Se fosse così come dici dovremmo sentire il bisogno di stare insieme e invece questo non c’è!»

«Non è detto che tutti provino questo bisogno! Ci sono persone molto gelose della propria autonomia; tu e io siamo due di queste. Rifletti: che cosa cercavo io in tutti gli uomini che ho avuto? Cercavo te! Appena ti ho conosciuto ho subito pensato che tu fossi il mio uomo ideale e ancora adesso sono di questo parere. Tutti quelli che sono venuti dopo di te hanno dovuto reggere un confronto spietato! C’era qualcuno che ti assomigliava per alcuni aspetti, ma nella totalità penso sia impossibile trovare un altro Mark. Dimmi che è stato lo stesso anche per te o credo di poter sprofondare qui in questo momento.»

«Sì, è stato lo stesso anche per me,» si affrettò ad aggiungere lui «ma allora perché non poniamo fine a questa assurdità e non restiamo insieme per sempre?!»

«Mi stai chiedendo di andare a vivere insieme?! Se non ricordo male ti feci una proposta analoga qualche tempo fa e allora fosti tu a dirmi a che non sarebbe stata buona idea. Forse un giorno le cose potrebbero cambiare, ma per il momento il nostro rapporto è fantastico così com’è: perché rischiare di rovinare tutto.»

«Forse hai ragione tu! È solo che a volte vorrei avere accanto qualcuna che mi sappia comprendere come fai tu, che abbia i miei stessi desideri, che mi possa prevenire perfino.»

«Anche me capita la stessa cosa» si avvicinò e lo accarezzo piano sul bel viso liscio «e quando succede di solito alzo la cornetta e ti chiamo. E la cosa che mi solleva molto è sapere che in qualsiasi momento tu sei lì per me. Non importa dell’orario o del luogo, non importa se sei libero o impegnato: ti fermi e mi stai a sentire. Per me è importante sapere che vengo prima di ogni altra cosa!»

«Sono cose che farebbe qualunque amico!»

«Nessun amico mi capirebbe come sai fare tu! La nostra complicità va ben oltre la semplice amicizia.»

«E cosa succederà il giorno che uno dei due si dovesse innamorare di un’altra persona?»

«Io sono sicura di amarti Mark e non c’è cosa che desideri di più al mondo che vederti felice. Se poi questa felicità è nelle braccia di un’altra donna, pazienza! E comunque credo che nessuno possa portarci via o sostituire quello che abbiamo.»

«Cosa è che abbiamo noi esattamente?! Tu dici di amarmi e forse anche per me è lo stesso, ma non staremo confondendo l’amicizia con l’amore? Se ci metti il sesso e il fatto che da troppo tempo non abbiamo una relazione stabile, il pericolo di un errore di questo tipo è alto!»

«E allora quale sarebbe la soluzione, smettere di vederci? Sarebbe inutile; se veramente vuoi qualcuno, non vederlo non basta e non puoi impedirti di pensarmi. Possiamo eliminare il sesso, ma sai bene che non è una componente necessaria nel nostro rapporto. Rimane “andare a vivere insieme”! Tu stesso dici che se vivessimo insieme probabilmente finiremo per odiarci stritolati dalla monotonia e dalla routine. Dammi retta, così com’è, è perfetto!»

Da allora non erano più tornati sull’argomento. Quel pomeriggio Mark aveva appreso qualcosa della propria natura che forse avrebbe preferito ignorare ma che comunque faceva parte di lui e in qualche modo doveva imparare a conviverci. Persone come lui e Cristina non erano tagliate per la vita di coppia; dopo qualche tempo, più o meno lungo che fosse, avevano la necessità di tornare soli. Era una sorta di istinto primordiale che spinge alla sopravvivenza: isolarsi per non annullarsi nella coppia. E proprio quest’istinto lo spingeva verso Cristina: aveva la consapevolezza che qualunque legame si fosse instaurato fra loro non avrebbe mai minato la sua preziosa libertà.

La luce di un’insegna a neon lo scosse dalle sue meditazioni. Si guardò intorno alla ricerca di un punto di riferimento che lo aiutasse ad orientarsi. Era stato altre volte in quella zona, ma tutte le volte c’era qualcosa di diverso nei negozi, nelle insegne pubblicitarie, perfino nei caseggiati tutti intorno.

Riconobbe una strana casa di stile europeo, tutta colonne e stucchi, ma la facciata era stata ridipinta con un orribile tinta beige e le siepi che correvano tutt’attorno all’inferriata che faceva da perimetro avevano lasciato il posto a pochi olmi solitari. Contò due traverse e svoltò a sinistra.

L’insegna dell’Haven lampeggiava pochi metri più avanti. Nonostante avesse aperto da poco era una delle discoteche più frequentate di Los Angeles e ogni sera accoglieva e faceva divertire più di tremila persone, fra cui molti personaggi in vista nel mondo dello spettacolo e della moda. Un locale di quel genere ha un solo grave difetto: la grande massa di persone che richiama ogni sera comporta inevitabilmente penuria di posti auto. Ogni volta Mark si chiedeva come facessero gli abitanti del quartiere a sopportare una situazione del genere. Dalla mezzanotte in poi era praticamente impossibile trovare un posto in strada e anche coloro che erano provvisti di giardino o garage dovevano fare i conti con quelli che parcheggiavano sui vialetti o di fronte ai cancelli bloccando il passaggio. Mark sperava solo di non dover girare a vuoto troppo a lungo.

All’improvviso le luci di retromarcia di una Mercedes color verde bottiglia lampeggiarono nello specchietto retrovisore; Mark inchiodò e si voltò di scatto. Una coppia stava discutendo animatamente nell’auto apparentemente immobile.     Mark tornò indietro velocemente e si affiancò all’autista. Era un ragazzo sulla trentina e affianco a lui c’era una ragazza, apparentemente della stessa età, che piangeva e si contorceva le mani nervosamente. Mark abbassò il finestrino.

«Tutto bene?» Chiese a voce alta rivolgendosi alla ragazza che singhiozzava come una bambina.

«Cazzo vuoi?!» Fu la risposta del giovane.

«Mi chiedevo se era tutto a posto! Stai bene?» Chiese nuovamente alla ragazza e ignorando l’altro.

«Sta bene, sta bene! Togliti di mezzo!»

«Perché non lasci rispondere lei.» Quel tipo iniziava a dargli sui nervi.

«Sto bene!» Rispose la ragazza con un filo di voce.

«Visto?! E ora per favore va fuori dai coglioni.»

Decisamente era un grosso stronzo, ma non era disposto a intromettersi in una lite fra innamorati, non quella sera almeno. Fece appello a tutta la sua calma e chiese:

«Andate via?»

«Sì», rispose rabbiosamente l’altro «se ti togli andiamo via.»

Mark si spostò in avanti di qualche metro quindi si mise a fissare la Mercedes dallo specchietto retrovisore. Vide l’auto uscire dal parcheggio e allontanarsi veloce in direzione opposta alla sua. Ripensò alla ragazza che piangeva e si sentì mortificato per non aver fatto nulla.

Guardò l’orologio: mancavano pochi minuti all’una eppure all’ingresso c’era una coda interminabile. Quattro buttafuori corpulenti avevano il loro da fare per tenere tranquilla e ordinata una folla decisamente rumorosa mentre un quinto armato di cartelletta si occupava degli ospiti di riguardo; Mark puntò dritto a quest’ultimo.

«Molto lavoro stasera?» Chiese con un grande sorriso.

«Signor Goodwind, che piacere! Nico lascia passare il Signore.»

Uno dei quattro buttafuori sollevò il cordone di velluto rosso che faceva da spartiacque fra l’ingresso e la strada e fece passare Mark fra il mormorio generale di protesta di tutti quelli che aspettavano in coda da chissà quanto. Essere amico del proprietario aveva i suoi vantaggi, anche se Mark si sentiva vagamente colpevole.

«Serata piena?» Chiese sempre rivolto al ragazzo con la cartelletta.

«Non più del solito! È da tempo che non la vedo, è stato via ultimamente?»

«Magari! Ho solo lavorato tanto.»

«Allora si diverta. Avviso subito che è qui.» Portò la mano all’altezza della cintura dove aveva il dispositivo per comunicare con l’interno del locale ma Mark lo fermò prima.

«Lascia, preferisco fare una sorpresa!»

«Come vuole! Il Signor Andrea dovrebbe essere nel suo ufficio al piano di sopra. Conosce la strada!»

«Grazie e buon lavoro.»

«Buona serata!»

Il locale era pieno come al solito. Sulla pista centrale quattro splendide ragazze poco vestite su piattaforme rialzate animavano a ritmo di musica una folla di ragazzi e ragazze deliranti, mentre sulle due piste laterali gruppetti di persone si muovevano all’unisono agli ordini di qualche dj. Gettò uno sguardo al piccolo prive: i quattro divanetti rossi erano quasi vuoti e il bar poco affollato. Appoggiato all’arco di gesso che faceva da ingresso un ragazzo della sicurezza controllava che nessuno si intrufolasse a disturbare la tranquillità degli ospiti di riguardo. Mark lo salutò con gli occhi mentre gli passava vicino diretto alla piccola scala che portava al piano di sopra.

Andrea era seduto alla sua scrivania e imprecava di fronte al monitor di un computer. I genitori avevano divorziato subito dopo la sua laurea in economia e lui si era trovato al centro di una sgradevole lotta per il suo affetto. Il padre lo avrebbe voluto al fianco nell’amministrazione dell’azienda di famiglia, la madre lo spingeva a coltivare una carriera politica che lui sopportava ancora meno. Alla fine, aveva raggiunto il suo miglior amico a Los Angeles e ora si occupava della gestione di alcuni locali di successo tra cui anche l’Haven.

«Si può?» Chiese Mark aprendo piano la porta di vetro che trasformava il suo ufficio in una sorta di gigantesco acquario. «Se disturbo posso passare più tardi!»

«Mark, è il cielo che ti manda. Da quanto tempo? Ma mi racconterai dopo, adesso mettiti al mio posto e vedi di far ripartire quest’arnese infernale.» Agitato e ansioso come al solito.

«Dovresti cambiarlo quel ferro vecchio.»

«D’accordo, mi farai la predica sulla mia arretratezza informatica dopo, ma ora per favore vieni qui e salvami la vita.»

«Qual è il problema stavolta.»

«Questo maledetto si è mangiato la mia dichiarazione dei redditi.»

«Fattene dare una copia dal tuo commercialista.»

«Pensi che abbia studiato economia per quattro anni per permettere a uno sconosciuto di occuparsi dei miei conti. È tutto là dentro.» Indicò il monitor con l’indice come se volesse sparargli.

«Semmai avresti tutto qui!» Rispose Mark battendo col palmo della mano sulla scatola di metallo al lato del monitor. «E comunque hai sempre le copie di backup, vero?» Andrea sorrise nervoso e colpevole.

«Avrei dovuto farle ma questo dannato si è bloccato prima. Ti prego, tu sei un genio con questi affari. Salvami da quest’incubo e ti prometto che saprò ricompensarti.»

«Fatti da parte!» Mark prese posto sulla sedia che occupava Andrea e si mise ad armeggiare con la tastiera. «Cosa diavolo hai combinato? Non riesco neppure ad entrare nel sistema! Sempre che questo coso abbia un sistema operativo!»

«Credo d’aver cancellato qualche file di Windows: mi dava dei problemi con il programma di contabilità e l’ho eliminato. È grave?»

«Certo che è grave, hai bloccato l’intero sistema. Prima lezione di informatica: mai cancellare qualcosa di cui ignori il significato. Vediamo se riesco a farlo ripartire in qualche modalità provvisoria.»

«Fa quello che è necessario ma recupera il mio file!»

«Hai un drive USB almeno?

«Una chiavetta?! Certo. Eccotela qua!» Da una scatola sotto la scrivania tirò fuori un pen drive arancione. Mark la inserì nella porta, diede invio e restò in attesa. Dopo qualche secondo, la scatola di metallo si mise a rumoreggiare; Andrea fissò Mark con occhi pieni di speranza.

«Come si chiama il file?»

«Il file è “dichiarazione redditi”, lo trovi nella cartella contabilità.»

Mark tornò a tamburellare con le dita sulla tastiera e un’espressione seria sul volto. Dopo qualche minuto, il pc si rimise a rumoreggiare; Mark aspettò che terminasse e estrasse la chiavetta arancione dal suo alloggiamento. La porse ad Andrea tenendola fra indice e medio.

«Non cancellare mai più file di sistema e comprati un computer nuovo!»

«Oh, grazie tanto fratello, ti devo un favore! Anzi, vediamo se riesco a sdebitarmi subito: ci sono due modelle arrivate oggi dalla Svezia e sono giusto alla ricerca di qualcuno che faccia loro da accompagnatore; le ho fatte sistemare nel privè, se andiamo di sotto te le presento. Credimi, sono due statue!»

«Ti ringrazio dell’offerta, ma una birra sarà sufficiente.»

«Tutto quello che desideri. Andiamo di sotto?» Andrea lo precedette alla porta, lo fece passare mimando un buffo inchino e movendo il braccio in un ampio gesto circolare, quindi chiuse a chiave e lo seguì giù per le scale.

Il bar del privè non era preso d’assalto come gli altri due dislocati all’estremità apposte del grande locale rettangolare, ma una decina di ragazzi e ragazze si affollavano lo stesso intorno al piccolo bancone nell’attesa di essere serviti. Andrea intercettò lo sguardo di uno dei due barman, una ragazza di colore di nome Marcelle, particolarmente affascinante ma soprattutto molto efficiente che prese due bottiglie dal frigo alle sue spalle e le porse al capo con un’aria piuttosto seccata. Mark le sbucò davanti all’improvviso.

«Come mai quel broncio mon cher, qualcuno ti sta forse infastidendo?» Con lo sguardo saltava di continuo da Marcelle ad Andrea che nel frattempo aveva trovato un apribottiglie e si occupava delle birre.

«Mark, bentornato! Dove sei stato di bello stavolta?»

«Proprio da nessuna parte. Ho avuto un po’ d’impegni di lavoro ma non parliamo di questo; piuttosto dimmi di te: stai ancora con quel ballerino?»

«Il figlio di puttana è partito per l’Europa con una compagnia migliore della mia.»

«Non credo che sia possibile trovare una compagnia migliore della tua.» Rispose Mark mentre beveva un sorso dalla bottiglia che Andrea gli aveva passato.

«Credimi, questa era davvero bella. Non sono furiosa per quello che ha fatto ma per come l’ha fatto: il bastardo ha ritenuto che il momento migliore per dirmelo fosse a cena a casa dei miei, di fronte a tutta la mia famiglia. Puoi immaginare che figura, soprattutto con mio padre che non ha mai sopportato che sia andata a vivere per conto mio e ne ha approfittato per rincarare la dose di critiche sull’incapacità di gestire la mia vita. Ne è risultata una lite furibonda; io contro di lui, mio padre contro di me, io contro mio padre, mia madre contro tutti e tre. Dovevi esserci.»

«Deve essere stato divertente?!»

«Così divertente che ora i miei non mi parlano più! E lui mi ha anche mandato una cartolina da Londra chiedendomi di restare amici; se solo osa venirmi davanti giuro che lo ammazzo. Ma ora basta parlare di me: ti vedi con qualcuna di recente?»

«No, decisamente no! Anzi, se proprio vuoi saperlo sono sei mesi che non ho una donna.»

«Allora potremmo riprendere quel vecchio discorso che abbiamo in sospeso?!» Mark e Marcelle erano stati amanti qualche anno prima. La loro relazione era andata avanti fra alti e bassi per quasi tre mesi, poi entrambi avevano deciso di troncare senza un motivo apparente. In realtà, sebbene vi fosse molta intesa fra loro, soprattutto a letto, non erano affatto innamorati.

«Non credo che sia una buona idea, anche se la proposta mi lusinga molto.»

«Se dovessi cambiare idea fammelo sapere!»

Andrea lo prese per un braccio e lo trascinò su uno dei divanetti rossi. Davanti a loro due splendide creature si muovevano sinuose a ritmo di musica. Una delle due indossava un cortissimo abito rosso fuoco che lasciava braccia e schiena scoperte insieme a una generosa porzione di seno, non particolarmente prosperoso ma grazioso e sodo. L’altra invece aveva un più sobrio paio di pantaloni di pelle nera particolarmente aderenti e un toppino bianco corto che lasciava in vista l’ombelico. Andrea le divorava con gli occhi.

«Avevo ragione a dire che sono due statue, o no? Vieni a fare un giro in macchina!»

«Sono davvero molto belle» rispose Mark lievemente seccato «ma preferisco lasciarle a te; non sono dell’umore giusto e finirei per rovinarvi la serata. Va pure e divertiti per tutti e due.»

«Sicuro?! Non vuoi che resti a farti compagnia?»

«Va tranquillo!»

Andrea prese le due ragazze cingendole per la vita e si avviò in direzione del guardaroba alla destra dell’ingresso. Mark lo seguì con lo sguardo fino a quando il trio non fu inghiottito dalla folla; prese la bottiglia di birra dal tavolino basso che aveva di fronte, mandò giù una lunga sorsata e provò a rilassarsi sui soffici cuscini imbottiti. La musica assordante lo agitò ancora di più. Finì la sua birra e si guardò intorno: una ragazza al lato della pista più grande lo fissava curiosa. Mark prese a fissarla a sua volta.

Dopo un po’ si mosse seguendo il bordo della pedana rialzata: Mark continuò a tenere lo sguardo su di lei fino a quando non sparì dietro una colonna di gesso decorativa. Aveva un passo deciso e sicuro, un portamento fiero e elegante, una figura aggraziata e armonica; probabilmente era una modella, di sicuro una abituata a sfilare; Mark continuò a fissare la folla che si dimenava sulla pista centrale.

Improvvisamente la vide riapparire sul lato destro della pedana, illuminata dai flash di centinaia di faretti intermittenti, poi sparire nuovamente nel buio delle luci che si abbassavano. Questa volta era riuscito a vederla meglio: indossava una cortissima gonna blu lucida o più probabilmente ricoperta di strass, che lanciava strani mirabolanti riflessi ogni volta che era investita da un fascio di luce, e un reggiseno dello stesso tessuto che lasciava poco all’immaginazione ma metteva in mostra una vita piatta e sottile e un paio di tette niente male. Aveva anche un paio di stivaloni di pelle che le arrivavano fino alle ginocchia, con tacchi alti ma piuttosto squadrati, che completavano un quadro decisamente sexy e inusuale. I corti capelli neri e le labbra voluttuose la facevano assomigliare alla Valentina di Crepax, così come il corpo dalle forme proporzionate e generose e il portamento presuntuoso ma elegante.

Mark la cercò ancora con lo sguardo, ma inutilmente: per quanto fosse eccezionale non era possibile riconoscere qualcuno in una simile folla. Distolse lo sguardo in direzione del bar e rivide l’oggetto dei suoi desideri; quella creatura eccezionale era in piedi di fronte a lui e lo fissava curiosa armata di un sorriso accattivante. Mark fu colto di sorpresa e ebbe un lieve sussulto.

«Ho visto che mi guardavi…» esordì lei con voce calma e rilassata.

«E hai pensato bene di vendicarti regalandomi un infarto!» Rispose lui prima che la ragazza avesse il tempo di terminare la frase. Quella sua uscita di spirito sciolse la tensione dovuta all’imbarazzo, lei abbozzò un sorriso divertita e subito sembrò più rilassata.

«Posso sedere o preferisci restartene tutto solo?» Chiese arricciando le labbra e guardandolo con espressione incerta.

«Siedi pure» indicò una piccola poltrona proprio alle sue spalle. Lei gettò uno sguardo dubbioso alla poltroncina di velluto rosso quindi con fare risoluto si accomodò alla sua destra; Mark sorrise compiaciuto e si voltò nella sua direzione. «Posso chiederti come hai fatto ad entrare?»

«Ho detto che ero una tua amica!» Volse lo sguardo in direzione dell’ingresso e lui fece lo stesso: l’addetto alla sicurezza li fissava preoccupato. Mark lo rassicurò con un gesto della mano e questo tornò a sorvegliare la folla che si accalcava di fronte a lui. «Allora Mark: cosa ci fai qui, oltre a fissare il nulla intendo?»

«Scusa, ma io e te ci conosciamo?» Chiese Mark perplesso.

«Capisco che non puoi ricordare tutte le ragazze che rimorchi al supermercato, ma pensavo che la prima in grado di resistere al tuo fascino ti sarebbe rimasta impressa. Vediamo se mi riconosci così!» Si portò la destra all’altezza della fronte e sollevò la parrucca nera che portava; una massa di capelli castani ricaddero liberi sulle spalle. Scosse la testa morbida e sensuale mentre con la mano scogliose i capelli che tornarono ad assumere una posizione più naturale.

«Così va meglio?» Chiese arricciando le labbra in una smorfia curiosa.

«Ma certo, ti chiami Jeannie, giusto?!»

«Almeno ti ricordi il mio nome.»

«Scusa, è che conciata in questo modo probabilmente anche tua madre avrebbe difficoltà a riconoscerti. Quando ci siamo visti la prima volta indossavi un completo color sabbia dal taglio moderno ma piuttosto elegante; ora sei…diversa?!»

«Non credevo fossi il tipo da dare importanza a un abito.»

«E in effetti di solito non sono il tipo, ma questo tuo abbigliamento, ammetterai, è piuttosto disorientante.»

«Forse non ti piace?» Si allungò sul divano con un gomito poggiato a sostenere il peso del corpo e l’altro braccio disteso sul fianco. Il seno sodo e grazioso ebbe un sussulto e per poco non balzò fuori dal suo rifugio di stoffa sottile; lei non parve affatto turbata dalla cosa, anzi sembrò compiaciuta dal piccolo inconveniente.

«Stai molto bene!» Mark sorrise divertito da quell’atteggiamento così strano.

«Grazie.» Si rimise a sedere, questa volta più vicina a lui. «Comunque, di solito non vesto così! La verità è che c’è stato un malinteso: questa sera dovevo andare ad un ballo in maschera con una mia amica ed eravamo rimaste d’accordo che lei si sarebbe vestita da protettore e io da puttana. L’ho aspettata fuori dal locale dove avevamo appuntamento per quasi due ore, poi finalmente ho ricevuto una telefonata da parte di un amico comune: lei ha avuto un attacco di appendicite e lui è stato costretto ad accompagnarla in ospedale. Mi sono ritrovata sola, vestita da puttana e per di più senza gli inviti della festa visto che doveva portarli la mia amica. Ho provato lo stesso ad entrare, ma dal momento che non conoscevo nessuno e che non avevo quei maledetti inviti sono stata cacciata in malo modo. Vista la terribile serata avevo solo due scelte: mettermi a piangere oppure andare a divertirmi, e così sono venuta qui.

«Una storia davvero molto triste. E ti stai divertendo?»

«Non lo so, forse! Chiedimelo fra un paio d’ore!»

«D’accordo!» Sorrise fissando il suo bel volto dai lineamenti dolci e affascinanti. «Vuoi qualcosa da bere?»

«Molto volentieri!»

Mark si voltò in direzione del bar; Marcelle intercettò il suo sguardo e annuì con un gesto del capo.

«Ci porti anche un po’ di quella torta al cioccolato?» Chiese sempre fissando la ragazza dietro il bancone.

«Io adoro il cioccolato!»

«Davvero?!» Chiese Mark sorridendo meravigliato. «Anche io!»