Sensazioni
Cap 16 - Vicoli bui
L'intelletto è sempre messo nel sacco dal cuore.
Francois de la Rochefoucauld
Trascorsero le due ore successive su quel divanetto, a parlare di tutto quello che veniva loro in mente solo per il piacere di stare insieme, incuranti della musica assordante e di tutta la gente intorno. Mark era abbagliato dalla sua bellezza e dal suo carattere aperto e divertente. Jeannie era stregata da quel fascino sottile e misterioso che l’aveva colpita già la prima volta. Un osservatore esterno e imparziale si sarebbe subito accorto della grande intesa che c’era fra i due, per non parlare poi dell’attrazione reciproca evidente negli sguardi ora teneri ora appassionati che si scambiavano vicendevolmente; solo i diretti interessati, forse perché troppo presi dall’euforia dei loro sentimenti, non se ne rendevano conto.
Jeannie in particolare monopolizzò la conversazione con i buffi racconti delle sue passate avventure sentimentali, dei tanti ragazzi sbagliati che aveva conosciuto e di tutti i più stupidi comportamenti di cui solo l’universo maschile è capace e anche se l’argomento non era dei più delicati Mark restò ad ascoltarla ammaliato dalla sua ironia e dalla sua spiccata dote di osservatrice. Lo divertirono particolarmente i racconti precisi e minuziosi dei più classici rituali d’abbordaggio maschili in cui si esibivano molti dei presenti nel locale, ma l’unica cosa che l’attirava in realtà era la splendida creatura che aveva di fronte.
Tutto in lei sembrava frutto d’una fantasia superiore: la pelle chiara e vellutata, gli splendidi occhi verdi profondi e intensi, le labbra rosse e carnose, il naso piccolo e arricciato all’insù, le guance rosse, gli zigomi delicati, il collo sottile e invitante, le spalle ampie e muscolose, i seni sodi e rotondi, la vita piatta col suo ombelico ben fatto, i fianchi perfetti e per nulla sporgenti, le lunghe gambe affusolate; perfino le sue mani, curate e proporzionate, che si muovevano nell’aria per enfatizzare le sue parole, sembravano studiate per far colpo ed attrarre.
Anche lei si sentiva molto presa da quel ragazzo; da quando lo aveva riconosciuto, seduto su quel divanetto al lato opposto del locale, si era sentita come stregata. Era andata da lui, aveva iniziato una conversazione e ora si ritrovava a parlare con lui delle sue esperienze passate: se glielo avessero raccontato non ci avrebbe creduto. Di solito era lei a condurre il gioco, soprattutto con gli uomini, e quando lasciava prendere loro l’iniziativa era solo perché lei aveva deciso che era arrivato il momento; ora invece si sentiva come un’adolescente immatura alla prima cotta e questo non andava bene. Era necessario retrocedere di un paio di mosse nella scacchiera dell’amore, di giocare coperti, gettare l’amo e restare a guardare: presto si sarebbe certamente presentata un’occasione favorevole.
Alle quattro in punto il suo orologio da polso si mise a suonare una singolare musichetta metallica: Mark lo fissò incuriosito.
«Accidenti!» Disse lei guardando l’orologio sorpresa. «Sono già le quattro! Mi dispiace ma devo andare, domani ho un impegno e devo alzarmi presto…»
«Ti accompagno.» Si sollevò senza farle finire la frase e l’aiutò ad alzarsi. Si girò in direzione della ragazza al bar e indicò il tavolino chiedendo il conto ma questa fece cenno con l’indice che ci avrebbe pensato un’altra volta e lo salutò lanciandogli un bacio con due dita della mano. «Possiamo andare. Hai un soprabito o un cappotto?»
«Il mio impermeabile è al guardaroba, ti dispiacerebbe…» e dalla tasca posteriore della gonna tirò fuori un bigliettino azzurro e lo porse a Mark senza staccare lo sguardo dalla ragazza di colore che continuava a fissarli da dietro il bancone. «Chi è la tua amica?» Chiese prima che Mark si allontanasse in direzione dell’uscita.
«La barista? Si chiama Marcelle, è una amica di vecchia data; vieni, te la presento.» La prese per mano e la condusse al bancone.
Marcelle, con i gomiti poggiati sul marmo del bar e la faccia affondata nelle mani chiuse a coppa li aspettava sorridente; ad ogni passo Jeannie si rendeva conto di quanto fosse bella. Non erano solo chi occhi pieni di vita e il sorriso luminoso a colpire chi guardava, ma tutta la figura in generale. Era straordinariamente alta e il suo corpo, atletico e muscoloso, era proporzionato e ben fatto; chiunque l’avrebbe scambiata per un’atleta e probabilmente lo era.
«Marcelle, ti presento Jeannie; Jeannie, lei è Marcelle.» Disse lui con tono cerimonioso. «Vi lascio sole, così potrete dedicarvi al pettegolezzo; ci vediamo all’uscita?» Chiese rivolto alla sua compagna di quella sera.
«Ci vediamo all’ingresso fra qualche minuto.» Rispose lei sfiorandogli il braccio.
«Buonanotte!» Disse l’altra inclinano il capo di lato e strizzando l’occhio in un segno d’intesa con l’amico.
«Buonanotte anche a te. Ci vediamo presto.»
Ora che erano sole Jeannie poteva darsi da fare. La sua idea era semplice e allo stesso tempo geniale; la ragazza che aveva di fronte era una vecchia amica di Mark, forse erano stati anche più che amici, almeno a giudicare dalla bellezza di entrambi. Poteva rivelarsi un’alleata preziosa e una fonte di utili informazioni per lei che adorava sempre sapere il più possibile delle sue prede in amore; ma doveva fare in modo che fosse lei ad aprirsi, doveva portarla a raccontare quello che lei voleva sapere senza apparire troppo curiosa e soprattutto senza forzarla in alcun modo.
Sorrise alla ragazza dietro il bancone e chiese un bicchiere d’acqua per rompere il silenzio che Mark aveva lasciato quando si era allontanato. Si sistemò su uno sgabello piuttosto alto che le dava la possibilità di annullare la differenza d’altezza e trovarsi occhi negli occhi con la sua ignara interlocutrice.
«Allora» chiese Marcelle mentre le porgeva il bicchiere «è da tanto che conosci Mark?» La conversazione si metteva subito per il meglio.
«Veramente ci siamo incontrati per caso in un supermercato qualche giorno fa! Più che un incontro forse è stato uno scontro, ma è stato piacevole comunque. Lui è così dolce e carino quando ti fissa con quegli occhi azzurri…»
«Hai perfettamente ragione!» Interruppe l’altra. «Ha quell’espressione da cucciolo così tenera che quando ti guarda ti senti sciogliere dentro. E poi non è solo quello…»
«Tu lo conosci da tanto?»
«Da un paio d’anni, più o meno. È stato Andrea a presentarmelo; loro sono come fratelli, anche se ultimamente Mark è molto cambiato e le cose non sono più come una volta.»
«Non credo di seguirti!» Rispose lei con un’espressione smarrita sul viso.
«Ti spiego: Andrea è il proprietario di questo posto. Fino a l’anno scorso questo locale era il loro territorio di caccia personale; portavano qui tutte le loro conquiste e facevano a gara a chi aveva più donne ogni settimana. Poi Mark è sparito per un paio di giorni, una cosa normale, lo fa spesso, ma questa volta è tornato cambiato. Ha come perso interesse nella conquista ossessiva, in un certo senso ha come messo la testa a posto. Non fraintendermi, non voglio dire che prima fosse un cattivo ragazzo, era dolce e carino con tutti esattamente come lo è adesso. L’unica differenza è che se qualche tempo fa gli avessi proposto di passare una notte insieme, e ti sto parlando solo di una notte, senza alcun tipo di coinvolgimento emotivo, lui non avrebbe esitato; ora invece mi sembra molto più riflessivo. Anche poco prima che tu arrivassi, Andrea era qui con due ragazze che ha conosciuto da poco; dovevi vederle, due sventole senza cervello, quel tipo di donna che fa perdere la testa a ogni uomo. Non ci crederai ma lui non ha voluto saperne; ha chiesto al suo amico di divertirsi anche per lui e poi lo ha lasciato andare via con le due ragazze.»
Marcelle era una complice all’oscuro di tutto assolutamente perfetta. In meno di due minuti le aveva fatto un rapporto dettagliato della personalità di Mark davvero prezioso, ma in quel momento c’era qualcosa che la incuriosiva ancora di più. Sfoderò il sorriso più affascinante e conciliante che aveva e chiese timidamente:
«Hai detto che spesso sparisce per un paio di giorni: e nessuno sa dove vada o cosa faccia?»
«Mark adora viaggiare: ha praticamente girato tutto il mondo! Appena ha un momento libero parte; di solito preferisce l’Europa ma adora anche il Messico e l’Australia.»
«Ora è meglio che vada!» Oramai aveva saputo abbastanza.
«Ci vediamo.»
Raggiunse Mark che l’aspettava all’ingresso con in mano il suo impermeabile e sul bel volto un sorriso luminoso e dolce. Era davvero molto carino quando sorrideva in quel modo e ti fissava con i suoi occhi azzurri che sembravano sempre sul punto di leggerti l’anima; emanava un fascino tenero e misterioso allo stesso tempo e qualunque donna ci si sarebbe persa dentro.
Lui l’aiutò ad infilarsi il lungo impermeabile nero e restò ad osservarla divertito. Con il soprabito completamente abbottonato che le arrivava alle caviglie e nascondeva completamente il suo splendido corpo somigliava a un generale tedesco della seconda guerra mondiale; il pensiero che sotto fosse quasi nuda lo divertì ancora di più.
«Io ho la macchina fuori: posso darti un passaggio! O se preferisci ti faccio chiamare un taxi.»
«Veramente sono in auto anch’io.» Gli mostrò le chiavi della sua macchina tenendole sospese fra pollice e indice e uscì dal locale seguita da Mark.
«Ti accompagno fino alla macchina!?» Propose lui una volta che furono per strada.
«Non è necessario, sono solo due passi.»
«Non è un problema, mi fa piacere.»
«Certo che ti fa piacere! Ma non sono ancora sicura di potermi fidare completamente di te.» Sorrise guardando la sua aria perplessa e si avviò in direzione del vicolo dove aveva parcheggiato. Si voltò dopo pochi passi per constatare che lui fosse ancora là ad attendere un suo cenno. «Ti chiamo appena ho un momento libero.»
«E come fai?» Chiese lui perplesso. «Non conosci il mio numero!»
Tornò sui suoi passi con studiata lentezza, ondeggiando sui tacchi alti e fissandolo negli occhi ingenui.
«Credi davvero che basti così poco a fermarmi? Non hai ancora idea di quanto sia eccezionale la ragazza che hai di fronte!»
«Soprattutto modesta! Di solito sono io che prometto di chiamare, comunque d’accordo: aspetto una tua chiamata!»
«Buonanotte.» Si avvicinò ancora un po’ e lo baciò piano su una guancia, godendosi il contatto delle labbra con la sua pelle liscia e inspirando piano per carpire qualche effimera traccia dell’odore dolce e sensuale che emanava; quindi si allontanò lentamente. Sentiva i suoi occhi addosso che la seguivano mentre attraversava la strada ma resistette all’impulso di voltarsi per vedere la sua faccia sorpresa e innamorata allo stesso tempo e tirò dritto.
Il vicolo in fondo al quale aveva parcheggiato non distava più di duecento metri dall’ingresso del locale ma se all’andata era pieno di persone, tutte dirette all’Haven, che lo rendevano simile a un boulevard parigino, alle quattro e mezzo di notte appariva più buio e minaccioso di un molo dei Docks. Si fece coraggio con un respiro profondo e liberatorio e si incamminò decisa, cercando di tenere un passo veloce nonostante i tacchi alti che le facevano perdere l’equilibrio ogni volta che incappava in un’irregolarità dell’asfalto. A metà del vicolo scorse la figura irregolare di un uomo disteso per terra: si impose di non guardare e accelerò ulteriormente.
«Signorina, ha qualche spicciolo da darmi?» sbiascicò l’uomo evidentemente ubriaco. Fece finta di non aver sentito e continuò a camminare. «Signorina, dico a lei!» Continuò l’altro urlando per farsi sentire; quindi la mandò al diavolo imprecando a voce bassa. Jeannie riusciva già a vedere la coda dell’auto; ancora qualche passo e sarebbe stata al sicuro.
«Il mio amico le ha chiesto solo qualche spicciolo!» Da una rientranza del palazzo alla sua destra la fioca luce di un fuoco in un bidone illuminava due figure deformi e irregolari. Com’era possibile che non si fosse accorta prima di quei due? Le restavano solo cinquanta metri prima di arrivare all’auto.
Le due strane figure vennero avanti e le bloccarono la strada; Jeannie le fissò inorridita. Erano entrambi sporchi e mal vestiti ma la cosa che più di ogni altra suscitò il suo ribrezzo era la strana smorfia di divertimento e disdegno dipinta sul volto di entrambi. Uno era piuttosto alto, così magro e ricurvo che sembrava sul punto di spezzarsi; indossava un paio di pantaloni pieni di tagli e squarci che cascavano molli sulle gambe troppo magre, un malandato cappotto di lana e un unto cappellino da baseball rosso con la visiera oramai a brandelli. L’altro era basso e tarchiato e indossava un lungo impermeabile che in origine doveva essere stato di colore grigio, sotto il quale faceva mostra una polo verde con un grosso strappo centrale all’altezza del petto dal quale fuoriusciva un ciuffo di peli grigi stopposi. Quello basso fece un altro passo in avanti con la mano tesa in direzione della ragazza e un orribile ghigno sul volto.
«Su, faccia la brava, ci dia qualcosa. Per strada la notte fa freddo e per scaldarsi ci vuole un bicchierino!» Il suo amico sorrideva beota; Jeannie lo fissò con attenzione e si accorse che probabilmente doveva essere un po’ ritardato.
«Mi dispiace, ma non ho nulla.» Si spostò lateralmente verso sinistra cercando di smarcare le due figure ma i due la imitarono specularmente.
«Noi siamo gente povera, ci accontentiamo di poco; solo qualche spicciolo.» Continuò l’altro mentre il secco continuava a ridere.
«Ho detto che non nulla. Per favore lasciatemi passare!» Cominciava ad avere paura. Teneva lo sguardo fisso su due davanti; per arrivare all’auto doveva superarli.
«Non si faccia pregare!» Il grasso avanzò di qualche passo e il secco lo seguì come un cucciolo fedele.
Jeannie fece un passo indietro e si preparò a correre in direzione opposta. Continuò a fissare i due uomini aspettando il momento migliore; sicuramente poteva correre più veloce di due barboni ubriachi e una volta raggiunta la strada poteva sperare nell’aiuto di un passante. Poteva anche arrivare all’Haven e chiedere aiuto a uno dei buttafuori all’ingresso. Fece un altro passo indietro e andò a sbattere contro qualcosa di molle e maleodorante. Inorridita pensò al barbone steso in terra; si voltò di scatto e lo vide in piedi a pochi centimetri da lei, con le braccia aperte come se volesse abbracciarla. Istintivamente fece un passo indietro e andò ad urtare contro il secco che imitava l’amico di bevute e se ne stava con le braccia aperte nel vuoto e il solito sorriso beota sul volto. Aveva perso di vista il terzo e improvvisamente si sentì assalita dal terrore.
Fece ancora un giro su stessa; l’uomo alle spalle la prese per le braccia serrando forte appena sopra il gomito; sentì uno strano formicolio alle mani e provò a dimenarsi ma l’uomo la tirò verso di sé in modo da limitare i suoi movimenti. Insieme al terrore si sentì assalire dalla rabbia: i telegiornali della sera erano pieni di storie di donne aggredite di notte nei vicoli bui, come poteva essere stata così stupida? Come aveva potuto cacciarsi in una situazione del genere?
«Per favore, lasciatemi andare, non ho niente!» Riuscì a dire con un filo di voce.
«Una bella ragazza come lei ha sempre qualcosa da donare!» Il terzo uomo, quello grasso, riapparve improvvisamente alla sua destra e si avvicinò per accarezzarle una guancia. Jeannie cercò di allontanarlo scalciando e dimenandosi, ma era quasi paralizzata dal terrore e la sua azione non sortì alcun effetto. L’uomo si avvicinò ancora e afferrò il collo dell’impermeabile nero con le sue mani grasse e sudice; tirò con forza e i bottoni saltarono uno dopo l’altro velocemente. L’aria fredda della notte la fece rabbrividire.
«Guardate qui ragazzi! Pare proprio che ci divertiremo.» Il secco la fissava con la sua solita espressione beota mentre il suo compagno aveva negli occhi una voglia maligna che lo rendeva ancora più orribile. Gli passò un dito sulla pancia nuda e la graffiò con le sue unghie sporche; Jeannie non riuscì a trattenere le lacrime.
Chiuse gli occhi sperando di trovarsi in un brutto incubo e cercando di ignorare quella mano che le accarezzava il seno sinistro; avrebbe voluto fare qualcosa di più ma per la prima volta nella sua vita si sentiva completamente impotente. Si sentì singhiozzare piano e mormorare qualcosa di incomprensibile quasi fosse fuori dal suo corpo; la paura e il terrore avevano lasciato il posto all’amara rassegnazione di una vittima che sa di non poter sfuggire ai suoi carnefici.
Odiava quella sensazione di impotenza che la faceva sentire debole e inutile, quasi si meritasse quanto le stava accadendo. L’uomo alle sue spalle continuava a stringere forte le sue braccia molli e inerti; sentì le mani trafitte da milioni di spilli invisibili e lasciò andare la parrucca nera che ancora stringeva nella mano sinistra come se d’improvviso fosse diventata rovente. Maledisse il suo stupido travestimento e maledisse la sua amica che l’aveva lasciata sola. Digrignò i denti in un ultimo estremo tentativo di ribellione ma non aveva la forza sufficiente per dar fiato alla rabbia interiore e chiuse gli occhi rassegnata.
Il grasso smise di palparle il seno per qualche istante, giusto il tempo di sbottonarsi i pantaloni e mettere in mostra il suo sudicio attributo, quindi sollevò la corta gonna, afferrò il tanga nero che lo divideva dalla sua preda e si preparò a tirare con forza.
Improvvisamente l’uomo alle spalle si accasciò in terra emettendo un orribile grido, un misto di dolore, rabbia e paura, e Jeannie fu libera dalla sua presa. Due mani forti la sorressero, evitandole di finire a gambe all’aria e la spinsero delicatamente lontano dai suoi aguzzini.
Il secco urlò qualcosa, come se volesse protestare, ma una grossa figura nera lo azzittì con un destro alla mascella che lo fece volare un paio di metri più indietro per atterrare su un mucchio di rifiuti. Jeannie lo fissò inorridita mentre cercava di rialzarsi con un movimento convulso di braccia e gambe, finché non stramazzò svenuto.
Il grasso intanto si era tirato su i pantaloni e si preparava a caricare a testa bassa. Il suo aggressore lo schivò con un movimento veloce e lo colpì in pieno ventre con una ginocchiata violenta e improvvisa che lo lasciò senza fiato.
Jeannie fissò il vicolo buio completamente sgombro; poteva correre via mentre gli altri erano impegnati nella lotta, ma le gambe molli la lasciarono inchiodata sul posto. Tornò a fissare la strana figura, ma al buio e con gli occhi pieni di lacrime riuscì solo a distinguere un’ombra nera dai contorni sfocati. Improvvisamente nel suo campo visivo comparve il barbone che fino a pochi momenti prima la teneva immobile per le braccia; aveva le braccia protese in avanti e cercava di raggiungere la sua gola in un gesto estremo e disperato. Cacciò un urlo con quanto fiato aveva nei polmoni ma l’uomo non parve infastidito e continuò ad avanzare.
L’ombra si mosse veloce e lo raggiunse in pochi passi afferrandolo per quello che restava del bavero del cappotto; lo allontanò con forza dalla ragazza prima di colpirlo con una gomitata al mento sferrata dal basso verso l’alto che lo mandò al suolo. Alle sue spalle il grasso si avvicinava veloce e minaccioso; Jeannie mandò un altro urlo e indicò con l’indice nel vuoto. La strana figura si voltò di scatto e facendo perno sulla gamba sinistra sferrò un calcio ruotando sul busto. ÌI barbone cadde di nuovo, ma il colpo non l’aveva raggiunto in pieno e si rialzò veloce pronto ad attaccare di nuovo.
Dal fondo del vicolo una seconda ombra avanzava di corsa. Il grasso si guardò intorno preoccupato, quindi corse dal secco; lo sollevò di peso e se lo sistemò sulle spalle quasi fosse un sacco di patate. Aiutò il terzo compagno sorreggendolo per un braccio e con sorprendente rapidità si allontanò in direzione opposta.
«Signor Goodwind, è tutto apposto?» L’uomo che arrivava di corsa dal fondo del vicolo era uno dei buttafuori dell’Haven; Jeannie lo riconobbe sotto la luce di un lampione e tirò un sospiro di sollievo. Cercò di smettere di tremare, ma le braccia e le gambe non ne volevano sapere di restare ferme.
«Va tutto bene Nico, grazie!» L’ombra si avvicinò a Jeannie lentamente, cercando di non spaventarla ulteriormente. La luce di un debole lampione illuminò il volto di Mark per qualche secondo, il tempo sufficiente per permetterle di riconoscerlo e lei si lasciò abbracciare forte premendosi contro il suo torace muscoloso.
Trovarsi fra le sue braccia dopo quegli attimi interminabili in cui era stata in balia dei suoi aggressori era un sollievo indescrivibile; lentamente smise di singhiozzare e cominciò a respirare con più calma. Sentì il calore amico del suo corpo e si rilassò sotto le sue mani delicate che le accarezzavano la testa e le spalle.
Dopo qualche minuto, lui la allontanò con dolcezza e le asciugò le lacrime che continuavano a cadere copiose, guardandola fissa con i suoi grandi occhi azzurri. Nico li fissava incuriosito a pochi passi di distanza, indeciso se andar via o restare dov’era.
«Stai meglio ora?!» La sua voce era calma e rassicurante; Jeannie annuì col capo e si riavvicinò a lui. Sentiva ancora il bisogno di essere abbracciata, ma lui la circondò con un braccio e la spinse dolcemente verso la strada. «Andiamo, ti accompagno a casa!» Si sentì vagamente delusa; avrebbe preferito restare ancora qualche minuto fra le sue braccia, ma si lasciò guidare di buon grado.
«Dove sono le chiavi dell’auto?» Jeannie gli passo le chiavi movendosi come un automa; Mark le prese delle sue mani e le passò al ragazzo che aspettava immobile sperando di poter essere utile in qualche modo. «Nico, puoi pensare tu alla macchina?» Il ragazzo annuì con un gesto deciso.
«Non si preoccupi! La sistemo nel parcheggio privato della discoteca e può passare domani con calma.» Prese le chiavi e si avviò con passo svelto in direzione opposta. Mark lo seguì con lo sguardo per qualche secondo, poi tornò ad occuparsi della ragazza. La strinse più forte e con dolcezza la guidò verso la sua macchina.
Jeannie riuscì a rilassarsi veramente soltanto quando la Porsche imboccò la statale. Sorprendentemente era riuscita a fornire precise indicazioni sulla via da percorrere per raggiungere il suo quartiere appena lui aveva messo in moto, ma gli era rimasto un senso di oppressione difficile da dominare e per i venti minuti successivi era restata in silenzio a fissare il cruscotto nero che aveva di fronte.
Una volta sulla statale le cose cambiarono radicalmente; il traffico meno caotico, le luci basse che accompagnavano la strada, la musica soffusa che riempiva piano l’abitacolo quasi avesse paura di disturbare, tutto sembrava fatto apposta per infonderle tranquillità. Anche Mark era diverso, più disteso, rilassato, teneva una mano sul volante e l’altra appoggiata alla leva del cambio e di tanto in tanto le lanciava delle strane occhiatine, veloci e discrete, che la mettevano al centro delle sue attenzioni e le infondevano un senso di sicurezza e protezione. Jeannie sprofondò lentamente nel soffice sedile di pelle imbottita, distese le gambe e chiuse gli occhi. Il sonno in cui scivolò dolcemente la colse di sorpresa e la trascinò in una nuova dimensione in cui sparirono ansietà e timori.
Quando Mark la svegliò erano già sul vialetto in pavé che faceva d’accesso a una costruzione in legno a due piani piuttosto irregolare costruita a pochi metri dal mare. Il piano terra era occupato da un negozio di articoli sportivi, con due grandi vetrine che davano direttamente sulla strada e una vistosa scritta colorata fatta apposta per attirare i clienti; Jeannie abitava al piano più alto.
Sul lato destro dell’edificio una piccola scala in legno scarsamente illuminata portava direttamente sulla grande terrazza piena di piante e fiori che si affacciava sulla spiaggia. Da dove si trovavano Mark riuscì a scorgere due grandi lettini in legno, simili a quelli da spiaggia, ricoperti da grossi materassini colorati in modo vivace e un piccolo tavolinetto rotondo, di legno bianco, sul quale erano ammucchiati riviste e giornali.
Riuscì anche a intravedere, seminascosta da una enorme pianta piena di sottili foglie verdi, la doppia porta d’ingresso: la prima, una sottile intelaiatura che fungeva da sostegno per la zanzariera, la seconda di pesante legno scuro.
«Siamo arrivati!» Disse Mark sorridendo alla ragazza che fino a un attimo prima dormiva beatamente.
Si guardò intorno con un vago senso di sorpresa, poi fissò il ragazzo come se si aspettasse che le dicesse cosa fare. Il suo viso calmo e rassicurante e la sua voce tranquilla furono sufficienti; raccolse velocemente pensieri e energie e aprì lo sportello della Porsche. Le gambe erano divenute all’improvviso pesantissime, così come tutto il corpo era rigido e scoordinato, ma con un piccolo sforzo di volontà riuscì a ruotare verso destra e posare i piedi in terra.
«Se vuoi posso restare a farti compagnia!?» Disse Mark improvvisamente mentre lei usciva dall’auto.
«Non credo sia necessario.» Rispose lei dopo uno sforzo per raccogliere i pochi pensieri confusi che le rallentavano il cervello. «Ti ringrazio, ma adesso va tutto bene. Ora vado su, chiudo per bene la porta di casa e mi metto a letto. Vedrai che domattina sarà tutto dimenticato. Grazie ancora!»
Si infilò nell’abitacolo e lo raggiunse con un bacio alla guancia; poi chiuse lo sportello e salì veloce i pochi gradini che la portavano al piano superiore. Una volta sulla terrazza si girò a controllare che il suo angelo custode fosse ancora là; Mark, in piedi accanto all’auto nera, la salutò con un gesto della mano, quindi lei si chiuse la porta di casa alle spalle e restò ad ascoltare il rumore dalla macchina che si metteva in moto e si allontanava lentamente.