Sensazioni

Cap 3 - La direttrice

L'amore, come la medicina,
è semplicemente l'arte d'aiutar la natura

Choderlos de Laclos

Mark fu l’ultimo ad uscire dal supermercato. Sul viso aveva ancora quell’espressione estatica della prima volta che aveva visto Jeannie. Se n’era innamorato subito, l’aveva agganciata in modo insolito e aveva rischiato paradossalmente di rovinare tutto a causa dell’imbarazzo e dell’emozione.

«Dell’emozione? Che diavolo mi è successo?» Pensò tra sé mentre si avvicinava alla macchina che aveva lasciato nel posteggio sopraelevato del supermercato. Era la prima volta che si emozionava di fronte a una donna e la sua era una casistica più che valida. Non si era emozionato neanche di fronte alla direttrice dell’esclusiva scuola che aveva frequentato prima dell’università.

Allora lui aveva diciotto anni e frequentava l’ultimo anno. Come da tradizione, spettava agli studenti dell’ultimo anno organizzare la festa per la consegna dei diplomi e lui, in qualità di rappresentante degli studenti, aveva il compito di sottoporre al direttore della scuola il programma dei festeggiamenti per l’approvazione.

Il vecchio direttore, il Signor Dumbmi era andato in pensione due mesi prima. Era un tipo scontroso, un po’ burbero, ma fondamentalmente buono con tutti gli studenti che non si comportassero in maniera tale da gettare discredito sull’istituto. Da giovane era stato nell’esercito e aveva combattuto in Corea. L’educazione ferrea, il senso dell’onore e della disciplina, il rispetto per le istituzioni e l’amore per la patria erano tutte cose che aveva appreso quando era sotto le armi e che come direttore, in più di vent’anni di carriera, aveva cercato di trasmettere agli studenti della propria scuola. Centinaia di studenti si erano diplomati in tanti anni sotto la vigile sorveglianza del direttore Dumbmi. Erano cresciuti, erano diventati uomini. Quasi tutti si erano iscritti all’università, molti si erano laureati, alcuni avevano avuto fortuna nel mondo del lavoro o avevano assunto importanti cariche di prestigio. Fra gli ex studenti della prestigiosa Scuola Militare H. Nelson figuravano nomi importanti, ministri, alti gradi delle gerarchie militari, importanti uomini d’affari, addirittura un ex presidente della repubblica. I padri di molti di loro avevano studiato in quella scuola, e con ogni probabilità un giorno anche i figli avrebbero seguito le orme di famiglia.

 La nuova direttrice era una donna di trentanove anni, dotata di straordinaria intelligenza e notevole forza di volontà. Già era sorprendente che fosse direttrice a quell’età. Di solito si sceglieva il nuovo direttore fra i professori più anziani, fra coloro che da più tempo prestavano servizio nell’istituto. Ma soprattutto era eccezionale che dopo quasi cento anni, fosse stata eletta una direttrice donna. Il fatto che la scuola fosse un’istituzione militare frequentata esclusivamente da ragazzi aveva reso naturale negli anni la nomina di un direttore uomo che sapesse comprendere i bisogni degli allievi e fosse per loro una valida guida e un esempio cui rapportarsi. Da tempo erano state assunte donne come insegnanti, che per la verità rappresentavano solo una piccola minoranza, ma mai nessuna di loro aveva assunto compiti di responsabilità all’interno dell’istituto, figurarsi la carica di direttore.

Elena Signorit in soli due anni era stata in grado di farsi apprezzare non solo dal corpo studentesco ma anche da tutto il consiglio dei docenti per la sua intelligenza, per la sua forza di spirito e per lo straordinario humour che era in grado di sfoderare in tutte le situazioni. Tutte queste sue caratteristiche, unite allo straordinario fascino di cui era dotata e alla notevole bellezza, l’avevano resa una delle persone più benvolute di tutto l’istituto. Era stato lo stesso direttore Dumbmi a proporla come successore al consiglio d’amministrazione. All’inizio per la verità vi erano state molte riserve ma alla fine, dopo notevoli pressioni anche da parte del comitato studentesco, era stata eletta con un mandato limitato nel tempo.

Il consiglio d’amministrazione aveva comprensibilmente paura di perdere, con l’elezione di una donna, il prestigio e la fama che la scuola aveva guadagnato in tanti anni; questa perdita avrebbe inevitabilmente comportato la perdita di tanti futuri studenti e soprattutto di tante future salatissime rette. Con un mandato a termine aveva voluto sondare il terreno. La Signorit era una persona valente, su questo non c’erano dubbi. Se la comunità accettava questo cambio di tendenza, al consiglio d’amministrazione andava bene. Altrimenti era pronto a sospendere il suo mandato e correre ai ripari senza perdere in prestigio e dignità.

Da quando era stata eletta Mark era riuscito a vederla una sola volta, durante il discorso che aveva tenuto di fronte a tutta la scolaresca il giorno dopo l’insediamento della sua nuova carica.

Allora le era sembrata bellissima. Indossava un abito color bordeaux, con una vertiginosa scollatura che metteva in risalto un seno splendido per forma e dimensione. Le spalle scoperte rilevavano una pelle abbronzata e un passato da campionessa nazionale di nuoto. Mark aveva letto di lei sugli annuari delle competizioni studentesche e aveva visto una sua foto mentre ritirava un premio per una gara vinta quando aveva diciannove anni. Allora era una bellissima ragazza, con un fisico atletico e potente. Ora era una bellissima donna e il suo corpo non aveva perso quella forza e quell’eleganza che avevano subito colpito Mark.

Voleva rivederla e la festa del diploma, con tutti i preparativi da organizzare e i permessi da chiedere, sarebbe stato un ottimo pretesto. Avrebbero dovuto passare molto tempo insieme, avrebbero dovuto lavorare gomito a gomito fino alla fine dell’anno. Lui sarebbe andato a trovarla nel suo ufficio un’infinità di volte e altrettante volte lei lo avrebbe chiamato con gli altoparlanti distribuiti per tutta la scuola. Non vedeva l’ora di cominciare.

Al loro primo incontro si era sorpreso di trovarla immersa nel lavoro; se la aspettava a sua completa disposizione, attenta ad ascoltarlo mentre lui tentava di fare colpo sfruttando un mix di intelligenza, modi garbati e bell’aspetto. Sentì di colpo il mondo crollargli addosso nel vederla piena di lavoro e per nulla disposta alla collaborazione. Se n’era andato amareggiato e svilito. Per giorni non si era più occupato della faccenda finché non l’aveva vista nella piscina della scuola.

Era un sabato pomeriggio e quasi tutti i ragazzi, che per regolamento risiedevano a scuola durante la settimana, erano partiti il venerdì per andare a trovare le famiglie. Mark era uno dei pochi a non partire per il weekend. La sua famiglia in quel periodo risiedeva in Olanda ed era impensabile andare a trovarli ogni settimana. Ogni tanto accettava l’invito di qualche compagno a trascorrere qualche giorno con la propria famiglia, qualche volta andava a trovare la ragazza di turno e passava con lei due giorni chiuso in camera da letto a fare sesso fino alla nausea, ma il più delle volte preferiva restare a scuola a studiare e divorare i libri dell’immensa biblioteca.

Ogni giorno poi si concedeva un po’ di tempo per lo sport. A dodici anni era cresciuto molto rapidamente in altezza e il suo aspetto fisico ne aveva risentito. Era troppo magro, talmente magro che gli amici lo chiamavo “radiografia”, e in più era così alto che l’appellativo “palo del telegrafo” sembrava non rendere bene l’idea della sua altezza. A quattordici anni, stufo degli sfottò e degli insulti si era buttato a capofitto nello sport e ora aveva il corpo di una statua e l’aspetto di una divinità preellenica. Col tempo aveva anche imparato che il suo aspetto fisico era con le donne una carta sempre vincente e da allora aveva preso a curarlo con costanza e impegno sempre maggiori.

La direttrice Signorit era intenta in un tuffo quando Mark entrò nel locale in cui era sita la piscina olimpionica a disposizione di tutti gli studenti e di tutti gli insegnanti. Entrò in acqua con coordinazione e stile impeccabili; pochissimi schizzi si levarono in aria. Per un po’ si mosse in apnea, con movimenti lenti e sinuosi, poi riemerse a prendere fiato e iniziò a nuotare verso il bordo opposto con poderose bracciate.    Lo stile era perfetto, i movimenti profondi e sincronizzati, il ritmo era impressionante anche per un ragazzo dal fisico allenato come Mark. Rimase a guardarla come ipnotizzato per un po’, poi quando si accorse che aveva quasi raggiunto il bordo si precipitò a prendere l’asciugamano e ad aspettarla alla fine della piscina.

Lei non ci mise molto a raggiungerlo. Toccò il bordo della vasca con una mano e riemerse emettendo uno spruzzo poderoso, poi guardò verso l’alto e notò Mark che la fissava come inebetito.

«Fantastica. Semplicemente fantastica. Sono convinto che con un po’ di allenamento potrebbe ancora concorrere in gare internazionali.»

«Come sa che ho partecipato a gare internazionali?» Chiese stupita.

«Non solo ha partecipato, ma è stata anche campionessa nei trecento metri stile libero per tre anni consecutivi. Quando si è ritirata sono stati in molti a pensare che il nuoto avesse perso una sicura stella.       A proposito, perché si è ritirata? Poteva aspettare un anno e partecipare alle olimpiadi!»

«È passato tanto tempo oramai. È una storia vecchia e non mi piace parlarne. Piuttosto, lei chi è e che ci fa qui?»

«Mi chiamo Mark, sono uno studente dell’ultimo anno e sono qui per aiutarla ad uscire dall’acqua.»

La sua risposta tranquilla aveva avuto l’effetto sperato. La direttrice non si sentiva affatto imbarazzata, se mai un po’ sorpresa di trovare un ragazzo così carino e gentile disposto a fare da cavalier servente. Mark le allungò una mano, lei la strinse forte e si issò sul bordo della piscina. Il movimento era stato rapido ma lui aveva avuto modo di notare la straordinaria coordinazione e l’incredibile agilità di quella donna fenomenale. Osservò a lungo le gambe lunghe e muscolose. Si vergognava un po’ a fissarle con tale ossessione ma non riusciva a farne a meno. Spiegò l’asciugamano e tenendolo teso fra le braccia lo porse alla direttrice. Con un movimento sinuoso lei vi si infilò di spalle e se lo strinse intorno al corpo, rapidamente, senza lasciargli il tempo di abbracciarla. Mark ne rimase deluso. Aveva sperato di poterla stringere tra le braccia anche solo per un istante e il pretesto gli era sembrato più che plausibile.

«Come mai si trova a scuola? Non è andato a trovare i suoi parenti o qualche amico?»

«La mia famiglia vive in Olanda. Andare a trovarli tutti i weekend è impossibile.» Rispose lui mentre lei si dirigeva verso un tavolo sistemato vicino al bordo della piscina.

La direttrice prese dal tavolo una bottiglia di Evian e bevve una lunga sorsata. Poi si lasciò cadere su un lettino di plastica ricoperto da morbidi cuscini imbottiti. Tirò indietro i capelli bagnati e li raccolse in una lunga coda. Strinse forte, lasciando sgocciolare più acqua possibile, poi infilò un paio di Ray-Ban e si distese al pallido sole di novembre che filtrava attraverso il solarium.

Mark rimase a guardarla per tutto il tempo. Poi aprì lo zaino che aveva portato con sé e ne estrasse un ampio asciugamano di spugna. Si avvicinò calmo al lettino che affiancava quello su cui era distesa la direttrice e lo distese sui grossi cuscini. Lei lo guardò per un attimo da sotto gli occhiali, proprio nel momento in cui si sfilava la felpa color blu. Sotto non aveva niente altro. Per un attimo rimase senza fiato. Solo ora si rendeva veramente conto di quanto fosse muscoloso il ragazzo che aveva di fronte. Era molto alto e anche ben proporzionato e di questo se ne era accorta appena lo aveva visto in piedi sul bordo della piscina. Quando l’aveva aiutata ad uscire dall’acqua si era resa conto che era anche dotato di una forza straordinaria, ma non immaginava di certo che sotto l’ampia felpa nascondesse un fisico così atletico. All’inizio lo avrebbe detto un culturista, ora lo considerava più un ginnasta o un nuotatore. Aveva delle spalle larghe e simmetriche, i bicipiti erano grossi ma ben proporzionati, i pettorali ampi e potenti. Ma quello che l’affascinò veramente erano gli addominali incredibilmente sviluppati; poteva riconoscere ogni singola fascia come in una illustrazione di un libro di anatomia, erano forti e ben modellati anche se non era in tensione e sui fianchi era magro e asciutto.

Lui piegò la felpa con cura e la infilò nello zaino. Richiuse la zip e si sfilò le scarpe alte da basket. Poi con passo lento si diresse verso il trampolino. Raggiunse la fine della tavola con poche lunghe falcate e si sistemò sul limite estremo del bordo, con i piedi uniti, le gambe tese e parallele, le braccia distese lungo i fianchi. Sollevò la testa e inspirò profondamente, riempiendo lentamente i polmoni, più che poteva. Quando si sentì pronto sollevò il braccio destro e iniziò a far ondeggiare il trampolino con movimenti ampi e regolari, dall’alto verso il basso. Lei intanto si era levata a sedere, aveva sollevato gli occhiali per vedere meglio e osservava curiosa e affascinata.

Alla terza oscillazione verso il basso Mark piegò leggermente le ginocchia e si preparò al tuffo. Quando la tavola risalì velocemente lui distese di colpo le gambe, con un movimento rapido e sincronizzato. La spinta del trampolino, unita alla forza dei suoi arti inferiori, lo catapultò in avanti di un paio di metri. Entrò in acqua con un buon movimento tecnico, tenendo le mani tese in avanti e la testa fra le braccia parallele per diminuire il più possibile il coefficiente di penetrazione, ma le gambe erano scomposte e leggermente tirate indietro. Evidentemente, pensò lei, lo sforzo di saltare così lontano si faceva sentire al momento di entrare nel liquido quando bisognerebbe sforzarsi di restare tesi soprattutto con le gambe.

Nuotò in apnea per un tempo che a lei parve infinito e quando riemerse era ben oltre il terzo della piscina. Prese una lunga boccata e si avviò con potenti bracciate verso il bordo. Lo raggiunse in pochi secondi, poi con un movimento coordinato e preciso effettuò una rapida capriola sott’acqua, spinse con forza con le gambe contro il bordo della vasca e si avviò in apnea nella direzione opposta. Stavolta riemerse molto prima, prese fiato e iniziò a nuotare con lunghe bracciate.

“Deve essere stanco”, pensò lei che non gli aveva mai tolto gli occhi di dosso. A metà vasca la sua azione si era fatta molto meno potente tuttavia manteneva un buon ritmo e la cadenza degli affondi in acqua era molto precisa. Giunse alla fine della piscina, toccò il bordo con una mano e si fermò a rifiatare. Dopo qualche minuto, si issò sul bordo e vide la direttrice in piedi ad aspettarlo.

Lei gli porse l’asciugamano continuando a fissarlo da sotto gli occhiali da sole e sfoggiando un meraviglioso sorriso.

«Lo stacco era molto buono, tuttavia dovrebbe perfezionare l’entrata in acqua: le gambe erano molto scomposte. E quando ha raggiunto il bordo ha anticipato troppo la capriola: se avesse aspettato un’altra bracciata avrebbe potuto sfruttare meglio la potenza delle gambe. È nella squadra di nuoto?»

«No, per la verità non sono in nessuna squadra sportiva. Mi piacciono troppo tutti gli sport per dedicarmi soltanto ad uno.»

«Peccato, con un fisico come il suo potrebbe facilmente praticare uno sport agonistico.»

«Le competizioni non mi interessano. Non sono abituato a competere per ottenere qualcosa.»

Nel frattempo, si erano avviati ai lettini vicini al tavolo. Lei si era sdraiata mentre lui, in piedi, continuava ad asciugarsi. Quando ebbe finito, distese il suo asciugamano, cavò dallo zaino un paio di Sting e sedette con il viso rivolto in direzione della donna.

«È strano che in questa scuola qualcuno pensi che la competizione non sia importante.»

«Non ho detto questo» rispose Mark vagamente contrariato. «Penso che la competizione sia importante per pungolare l’individuo e spingerlo a dare il meglio in ogni circostanza, solo non ritengo necessario competere per affermare la propria forza fisica. Preferisco che gli altri mi riconoscano altre doti, come l’intelligenza ad esempio.»

«È un ragazzo molto sicuro di sé, Signor Goodwind.»

«Lei conosce il mio cognome?»

«Certamente. Lei è il rappresentante del comitato studentesco. L’altro giorno, quando è venuto a trovarmi nel mio ufficio, credevo che avesse qualcosa di importante da dirmi. Poi invece è scomparso e non si è più fatto vedere.»

Questa volta Mark era davvero sorpreso: non solo si ricordava il suo cognome ma si ricordava anche in che occasione si erano conosciuti. La conversazione era durata solo pochi istanti, il tempo di presentarsi e dire qual fosse la sua carica. Poi lei gli aveva detto di essere molto impegnata, lui si era scusato ed era andato via. Che si ricordasse tutto era sorprendente.

«Ho capito che era molto impegnata» rispose lui «e non ho voluto disturbarla. Ero solo venuto ad esporle il programma della festa per la consegna dei diplomi. Secondo la tradizione lei deve essere informata di tutti i preparativi e dovrebbe autorizzare ogni nuova iniziativa.»

«Mi ascolti Signor Goodwind! In questo periodo sono molto impegnata. Mi sono insediata da poco e ho ancora tanto materiale da visionare prima di poter entrare pienamente in servizio. Sono sicura che capirà, così come sono sicura che lei è un ragazzo serio e responsabile. Quindi le lascio carta bianca e le permetto di organizzare tutto quello che vuole o se preferisce le do la mia autorizzazione preventiva. Tuttavia, visto che le tradizioni andrebbero sempre rispettate, se proprio ci tiene ad avere una mia opinione sul suo operato mi può trovare qui tutti i giorni all’ora di pranzo. Solitamente mi trattengo un’oretta; se ritiene di poter rinunciare al pranzo la autorizzo a disturbarmi.»

«Preferirei che non mi chiamasse Signor Goodwind. Ogni volta che qualcuno mi chiama in quel modo penso sempre che si rivolga a mio padre o peggio ancora a mio nonno. Mi chiami Mark, semplicemente Mark, la prego.»

«D’accordo, Mark.     Ha già pensato qualcosa a proposito della festa?»

«Oggi è sabato e il sabato per me è un giorno sacro. Mi chieda di parlarle di scuola tutti i giorni della settimana, ma non il sabato. La mia mente è in vacanza, il mio cervello ha appeso il cartello “chiuso per ferie” ed è partito. Godiamoci la giornata, se le posso fare compagnia, e parliamo d’altro. Avremo tempo per discutere del resto. In fondo mancano sei mesi al diploma.»

Quell’uscita di spirito l’aveva divertita. Non si aspettava che un suo studente potesse essere così spigliato nei suoi confronti. Lei era pur sempre la direttrice e avrebbe dovuto incutere un minimo senso di soggezione in un suo allievo. Lui invece conversava amabilmente, come si trovasse fra amici e questo la meravigliava. Tuttavia, le piaceva molto. Da quando era arrivata a Londra non aveva avuto modo di stringere rapporti d’amicizia; era stata talmente presa dal lavoro che praticamente non aveva avuto una vita sociale. A pensarci bene era la prima volta, dopo tanto, che si trovava a parlare con qualcuno per ragioni che esulavano il lavoro, e improvvisamente sentì che ne aveva bisogno.

«Bene» rispose prontamente «di cosa vuole parlare?»

«Mi racconti qualcosa di lei, della sua vita privata. So che si è laureata a Oxford con il massimo dei voti, che da giovane è stata una campionessa di nuoto, che è la prima direttrice donna nella storia di questa scuola. Tutto quello che so è legato sempre al suo lavoro o ai suoi meriti professionali. Mi piacerebbe sapere qualcosa di più della sua personalità.»

«Vedo che è informato!» Rispose meravigliata. «Probabilmente lei conosce più cose che mi riguardano di chiunque altro. Dove ha avuto tutte queste informazioni?»

«Mi dispiace» era molto imbarazzato «non volevo essere inopportuno. Ho solo consultato l’archivio informatico di Oxford. Nel suo file ci sono tutti i dati che riguardano la sua carriere scolastica, compresi i meriti sportivi. Ho controllato quando lei è venuta ad insegnare in questa scuola. Mi piace sempre sapere con chi ho a che fare ma non volevo assolutamente minare la sua privacy.»

«Come sa che ho studiato a Oxford?» A questo punto cominciava ad essere risentita. Chi era quel ragazzo che si era preso la briga di andare a controllare il suo passato e soprattutto, perché?

«Ho dato una occhiata al curriculum che ha presentato insieme alla sua domanda d’assunzione. In questa scuola tutti i documenti vengono passati allo scanner ed inseriti nell’archivio centrale. In questo modo ogni membro del consiglio d’amministrazione può comodamente controllarli da casa o dall’ufficio e non è costretto a venire di persona. Mi dispiace veramente, non pensavo che la cosa la disturbasse tanto.»

Dal tono della sua voce capì che era veramente dispiaciuto. Aveva commesso una grave violazione del sistema informatico della scuola e lo ammetteva candidamente, ma in fondo non aveva cattive intenzioni. Era solo un ragazzo e come tutti i ragazzi tendeva ad agire senza preoccuparsi delle conseguenze delle sue azioni.

«Quello che mi piacerebbe sapere» riprese lei raddolcita da quelli splendidi occhi azzurri tristi «è come ha fatto a violare il sistema di protezione dell’archivio computerizzato della scuola?»

«Quello non è un problema.» Rispose lui con gli occhi che tornarono ad illuminarsi sentendo il tono dolce della voce di lei. «Violare il sistema non è affatto difficile, anche se devo ammettere che è più complesso del sistema di protezione della banca dati di Oxford. Chi lo ha progettato non ha tenuto conto che chiunque è in grado di lanciare un programma che ricerchi una password, se il programma ti consente di tentare infinite volte. Quelli di Oxford poi sono stati così superficiali da indicare anche di quante lettere deve essere composta. In questo modo non ho neanche bisogno di tentare tante combinazioni: mi basta trovare le combinazioni alfanumeriche di sette cifre e scegliere fra queste.

«Lo sai che è un reato vero?»

«Certo. Ma non si può condannare una macchina. Tutte le volte che ho bisogno di consultare un archivio mi collego con un portale e da lì uso un canale di trasmissione per navigare. Nella memoria della macchina rimane solo traccia dell’indirizzo del chiamante, in questo caso del portale. Fra milioni di utenti è impossibile risalire a chi ha usato quel portale in quel momento. E se anche qualcuno vi riuscisse non verrebbe a conoscenza della mia identità ma soltanto della login da cui sto trasmettendo.»

«Mi lasci indovinare: i computer sono la sua grande passione.»

«No, assolutamente. Una passione, lo dice la parola stessa, trasmette delle sensazioni forti, comunica direttamente con i sensi, quando si impossessa di te ti travolge fino a lasciarti senza fiato. Una passione ha il potere di inebetirti ed esaltarti allo stesso tempo, ti ricorda ogni giorno perché la vita è così meravigliosa. Una donna, può essere una passione, un animale forse, ma di certo non una macchina. Un computer è freddo, nel suo universo esistono solo sequenze di istruzioni, la sua logica si limita a due numeri; mi diverte penetrare in quella logica perché dietro si cela la logica di un essere umano.»

«Come filosofo potrebbe anche andare forte, ma non la seguo.» interruppe lei improvvisamente.

«Aspetti, cerco di essere più chiaro. Quando lei accende il suo computer la prima cosa che vede apparire sullo schermo, con ogni probabilità, sarà il desktop di Windows. Quindi con il suo mouse clicca sull’icona che le interessa e apre un programma, ma si è mai chiesta il perché? Il suo computer esegue una serie di istruzioni che qualcun altro ha programmato. Non la incuriosisce sapere perché quella sequenza e non un’altra? E ancora, non le piacerebbe riuscire a capire cosa pensava chi ha progettato il sistema in quel momento e perché? Le sto parlando di entrare nella mente delle persone per capire cosa li spinge a comportarsi in un determinato modo…»

«La psicanalisi è una branca della scienza molto seria. Ci vogliono anni per imparare a guardare nell’animo umano e anche dopo molto studio e dopo tanta pratica non è una cosa così semplice. Come pretende lei di entrare nella mente di una persona semplicemente vedendo un suo programma?»

«Perché proprio nella realizzazione di un programma emerge tutta la parte inconscia di un individuo. Quando qualcuno è impegnato a programmare destina tutte le sue attenzioni all’uso di costrutti e istruzioni che assorbono tutta la sua capacità di concentrazione. È talmente impegnato a scrivere del codice coretto da non poter pensare ad altro; a questo punto entra in gioco l’inconscio. Cosa lo spinge ad utilizzare un costrutto piuttosto che un altro? Perché preferisce una determinata classe di istruzioni? Perché assegna quei nomi alle variabili? In alcune circostanze le scelte sono puramente pratiche, dettate dalla ragione, e quelle non sono interessanti. Quello che mi interessa davvero sono le scelte irrazionali, quelle che non cambiano il modo di funzionare del programma, quelle che costituiscono il modus operandi dell’uomo che istruisce la macchina. So che non è un discorso facile da comprendere, e probabilmente adesso pensa che io sia pazzo, ma le giuro che la cosa riveste un’importanza fondamentale se si vuole cercare di violare un sistema informatico.»

«Quindi, se ho ben capito, lei crede di poter violare qualsiasi sistema, perché dall’analisi del sistema stesso riesce a stabilire cosa pensava chi l’ha progettato e, di conseguenza, è in grado di prevenire le sue intenzioni? Non è così?»

«Semplicisticamente è così. Ma la cosa non è facile, per nulla. E si complica ancora di più quando a lavorare attorno a un programma sono più persone. Oggigiorno l’informatica si sta specializzando molto, non ci sono più i grandi cervelloni in grado di progettare e realizzare un programma autonomamente. Si tende a favorire il lavoro di squadra, spingendo all’estremo la competenza di ogni settore. Su di un singolo programma lavorano quattro o cinque persone, ognuna con specifiche competenze e impegnata a realizzare solo la parte che le compete. Poi si mette tutto insieme come in una catena di montaggio. In grossi progetti, come le imprese spaziali, le persone che lavorano ad un programma sono addirittura migliaia e nella maggior parte dei casi nessuna di loro sa a cosa sarà destinato il frammento di codice che ha preparato. Lavorano su commissione e poi qualcuno si occupa di rimettere insieme il tutto. Con tante diverse persone che vi lavorano è difficile che un programma segua una logica, anche se questo non vuol dire che non funzioni bene. In molti casi si può tentare di seguire la logica del supervisore, cioè di colui che si occupa di seguire tutto il progetto e che poi ha il compito di rimettere insieme tutti i pezzi; ma anche questo non è più così diffuso. Si preferisce demandare il compito ad intelligenze artificiali, più veloci e sicuramente più preparate. In questo caso è inutile sforzarsi di cercare una logica.»

«Le faccio una proposta: perché non si occupa di risistemare il software di protezione dell’archivio dell’istituto? Con la sua esperienza non dovrebbe essere molto difficile.»

«Non credo che lei e questo istituto siate in grado di pagare il mio onorario.»

«Ma davvero!» Era divertita da quell’uscita. «Sentiamo, quanto sarebbe il suo onorario per un lavoro del genere?»

«Diciamo che ci vorranno tre mesi per preparare il progetto, più un mese per testarlo ed adattarlo sulla macchina su cui deve operare. Si tratta di un lavoro lungo e complesso, per nulla facile, le verrebbe a costare circa duecento mila sterline.»

Lei era scioccata. Finora si era divertita a osservarlo mentre si atteggiava a grande manager, ma adesso aveva esagerato. Sentiva la rabbia montarle dentro prepotentemente, aveva voglia di ridimensionare quel ragazzo troppo presuntuoso.

«Crede di essere l’unico programmatore sulla faccia della terra?» Rispose acida. «Cosa le fa credere di essere così speciale da valere tutti quei soldi? In fondo non ha nessuna qualifica professionale. Credo che lei sia un grosso presuntuoso e di solito le persone presuntuose sono anche molto stupide.»

A quel punto si interruppe istantaneamente. Avrebbe voluto continuare, dire tutto quello che le passava per la mente, come se in quel modo fosse stata in grado di cancellare i suoi pensieri. Ma di nuovo quegli occhi tristi l’avevano bloccata. Era come se qualcuno avesse spento il sole, come se il mondo si fosse congelato in quel momento, come se ogni infinitesima particella dell’universo avesse improvvisamente smesso di muoversi. Era tutto questo e molto di più. In quel momento, forse inconsciamente, aveva capito che quello sguardo magnetico, capace di riflettere di una luce propria, avrebbe rappresentato qualcosa di importante nella sua vita.

Voleva essere l’oggetto del desiderio che ne ispirava le passioni più profonde, lo desiderava fortemente, con ogni cellula del suo corpo. Voleva essere ammirata ed essere il centro di tutte le sue attenzioni. Essere consolata quando era triste e consolarlo a sua volta, essere abbracciata con forza e passione, restare stretta a quel suo corpo muscoloso e godere del contatto con la pelle liscia, assaporare il suo odore rassicurante e lasciarsi travolgere da una marea di piacevoli sensazioni. Voleva sentire il suo fiato caldo mentre si baciavano con vigore, quasi a rubargli l’anima, godersi le sue labbra che la baciavano sul collo. Ardeva al desiderio delle sue mani che libere per tutto il suo corpo. Riusciva quasi ad immaginarlo e si sentiva turbata dal turbine di passione che il suo cervello le procurava. Improvvisamente sentì il clitoride gonfiarsi, le grandi labbra si fecero umide e sensibili: si stava eccitando. Chiuse gli occhi e istintivamente si passò la lingua sulle labbra: improvvisamente erano diventate secche e turgide, come se una febbre altissima le bruciasse dentro. Sentì che le guance erano diventate rosse e tutti e due i capezzoli le facevano male tanto erano tesi.

Si stupì di quelle sue reazioni e quando riaprì gli occhi trovò quello splendido ragazzo, l’oggetto delle sue fantasie, che la fissava come in estasi e si soffermò a pensare a quanto sarebbe stato bello e insieme sconveniente dare seguito ai suoi desideri.