Sensazioni
Cap 4 - Sesso al mare
Di rado una donna scrive quel che le passa per la mente,
se non nei suoi poscritti.
Richard Steele
Dopo quel primo incontro ve ne furono molti altri; si incontravano in piscina tutti i giorni per discutere della festa del diploma, chiacchieravano amabilmente per un’oretta, si scambiavano consigli e opinioni, nuotavano e prendevano un po’ di sole. Andarono avanti in questo modo per cinque mesi. Entrambi desideravano molto più di un semplice contatto mentale; quando erano insieme i loro corpi sembravano attirarsi come calamite e le loro anime bruciavano di una passione logorante, ma nessuno dei due aveva il coraggio o la forza di volontà necessari per rivelare questi sentimenti. I loro rapporti erano condizionati dai cliché di comportamento fra direttore e allievo e nessuno dei due riusciva a superare quella preconcetta barriera mentale.
Le cose cambiarono rapidamente una domenica di aprile. Mark si era svegliato presto come al solito e dopo due ore di footing lungo il perimetro dell’istituto era tornato in camera per una doccia veloce. Il giorno prima aveva ricevuto una piacevolissima sorpresa: i suoi genitori non potevano raggiungerlo in giugno per il diploma perché in quel periodo avrebbero dovuto essere in Madagascar e per farsi perdonare gli avevano inviato un regalo che avrebbe reso la loro assenza meno amara. Insieme alla lettera di scuse, spiegazioni e affettuosi saluti era arrivata una Porsche 356 Speedster del ‘58, decappottabile, nera con interni bianchi.
Adorava quell’auto. Era stata la macchina di suo nonno, quella con cui andavano in giro regolarmente la domenica pomeriggio dopo pranzo per comprare il gelato, la prima auto che aveva guidato. Mark senior era morto tre anni prima lasciando quasi tutti i suoi averi al padre di Mark che era figlio unico, una piccola rendita a quella che dopo la morte della prima moglie era diventata la sua compagna di vecchiaia e l’auto a Mark. Sapeva quando lui ci fosse affezionato e sapeva anche che il ragazzo avrebbe avuto la massima cura di quella che per molti era solo una vecchia macchina da rottamare e sostituire con un nuovo modello mentre per altri era una passione e uno stile di vita allo stesso tempo.
Dopo la doccia era pronto per passare tutta una domenica in giro con quella meraviglia. La giornata era riscaldata da un sole straordinariamente caldo per il periodo. Era il clima ideale per tirare giù la cappotte e godere del vento in faccia che ti spettina i capelli. Indossò una camicia bianca, un paio di jeans e un giubbino leggero di cotone blu, inforcò un paio di Ray-Ban neri tondi che gli stavano particolarmente bene e uscì dalla stanza con un sorriso beato sul volto. Raggiunse velocemente il parcheggio custodito di proprietà dell’istituto; superato il portone di ingresso vide il muso della Porsche e il sorriso divenne ancora più luminoso.
Salì a bordo, fece scattare il meccanismo manuale che abbassava la cappotte e con un gesto rapido scoprì le bellezze di quel meraviglioso prodotto dell’ingegno umano. Si fermò un istante per osservare attentamente il profilo morbido e sinuoso della carrozzeria, le rifiniture pregiate dell’interno, la morbida imbottitura dei sedili; era come ritrovarsi ad ammirare una bella donna, con le sue dolci curve femminili, la sua pelle morbida e vellutata, il suo corpo caldo e rassicurante. Tutto era esattamente come lo ricordava, anche il rumore del motore, pieno e potente, in grado di trasmettere un senso di forza e di rispetto in chi lo ascolta.
Sollevò delicatamente il piede dal pedale della frizione, accelerò dolcemente e l’auto si mosse con sorprendente rapidità. In pochi secondi era già oltre i cinquanta chilometri orari e ancora non era uscito dal viale principale dell’istituto. Decise che era meglio rallentare e aspettare una strada statale per lanciarla a tutta velocità. Frenò bruscamente e a passo d’uomo percorse il lungo viale, tutto preso ad ascoltare il rombare dei cavalli nascosti sotto il cofano. Era quasi alla fine quando sentì la voce della direttrice che cercava di attirare la sua attenzione.
Si arrestò di colpo e si voltò nella direzione da cui era giunta la voce. Elena Signorit era ferma sul bordo del viale. Indossava un tailleur nero composto da una gonna incredibilmente corta e una giacca sbottonata piuttosto lunga, dal taglio molto femminile. Sotto la giacca, una camicia di seta bianca lasciata aperta fino al solco fra i due seni metteva in risalto uno splendido decolté. Completava il tutto un paio di scarpe in pelle nera, piuttosto eleganti, con tacco da almeno dieci centimetri. Un paio di autoreggenti di seta nera, stranamente rilucenti, ne fasciavano le splendide gambe e le conferivano un’aria straordinariamente sexy.
Mark non l’aveva mai vista vestita in questo modo; di solito indossava vestiti molto classici che tuttavia non riuscivano a nascondere del tutto il suo fisico prorompente. Lui l’aveva vista in costume da bagno e sapeva bene quando fosse eccezionalmente voluttuosa, con quel corpo agile e muscoloso, quelle gambe lunghe e snelle, il seno florido, i glutei alti e incredibilmente sodi. Ma il suo fascino andava ben oltre il semplice aspetto fisico. Sprigionava una carica erotica assolutamente unica, un alone di sensualità quasi palpabile l’avvolgeva tutta, era irresistibile.
Spense il motore e la osservò attentamente mentre con incedere sicuro puntava nella sua direzione. In una mano aveva un paio di occhiali neri che in un primo momento Mark non aveva notato e nell’altra qualcosa di rosso che solo ora riusciva ad identificare come un fiore di campo appena raccolto. Scese dall’auto, chiuse lo sportello e si adagiò delicatamente contro la carrozzeria.
«Se mi posso permettere, oggi la trovo straordinariamente bella, molto più del solito almeno.» Esordì Mark non appena lei lo raggiunse.
«È solo un complimento o devo interpretarlo come una forma d’avance?!» rispose lei sfoderando un radioso sorriso.
«In realtà si trattava di una lusinga verso un superiore, una pratica comune di adulazione se preferisce.»
Risero tutti e due fragorosamente, poi lei gli si affiancò, col corpo rivolto verso la vettura, gli posò una mano sulla spalla sinistra e si appoggiò delicatamente al suo corpo.
«Bella macchia, nuova?»
«Veramente…sì e no. La macchina era di mio nonno; quando è morto l’ha lasciata a me ma da allora non l’avevo più vista. Mio padre si è preoccupato di farla risistemare e di mandarla qui come regalo per il diploma. Stavo andando a fare un giro, le andrebbe di farmi compagnia? La giornata è perfetta per assaporare il fascino di una vecchia cabrio come questa!»
«In effetti non avevo nulla in programma per oggi e se posso confessarlo mi stavo anche un po’ annoiando. Avevo pensato di fare un salto nella mia casa sul mare, a Southend, ma la mia auto mi ha piantato ieri.»
«Se non ritiene sgradevole la mia compagnia possiamo andare a Southend insieme. Una gita al mare è l’ideale con questo sole. Se partiamo subito possiamo essere sul posto in un paio d’ore, mangiamo qualcosa in un ristorantino sul mare, facciamo un salto in spiaggia, controlliamo che la sua casa sia ancora al suo posto e rientriamo in serata.»
«Ho un’idea migliore. Per strada ci fermiamo a prendere qualcosa da mangiare e ti preparo un buon pranzo casalingo. Sono una cuoca discreta e se lo desideri puoi usare la spiaggia privata che c’è sul retro della casa.»
«Proposta accolta. A bordo!»
Mark salì in macchina velocemente, senza aprire lo sportello, saltando direttamente nell’abitacolo. Era eccitatissimo all’idea di trascorre un’intera giornata con una donna così bella. Accese il motore e aspettò che lei prendesse posto nel sedile vuoto alla sua destra.
La direttrice girò intorno alla vettura, si sfilò la giacca e la posò sul sedile posteriore, poi aprì lo sportello e si adagiò dolcemente sui morbidi sedili imbottiti di pelle bianca. Nel sedersi, la gonna già cortissima si sollevò a livello inguinale, e lo spacchetto laterale mise in mostra non solo il merletto finemente ricamato del bordo della calza, ma anche una generosa porzione di coscia. Mark, che pure aveva avuto tante occasioni per osservare le sue gambe completamente nude, ne rimase veramente incantato. Ogni volta che le parlava, ogni volta che riusciva a vederla, anche in mezzo alla folla, era assalito da un fremito e da un desiderio che mai aveva conosciuto prima e quella occasione non costituiva eccezione.
«Possiamo andare.» Disse lei mentre si sistemava i capelli, tentando di raccoglierli in una lunga treccia. Mark si mosse continuando a fissarla; lei intanto aveva infilato gli occhiali da sole che la rendevano insieme misteriosa e ancor più affascinante e si era sistemata il fiore rosso fra i capelli, all’altezza dell’orecchio destro.
Il viaggio fu molto piacevole. Conversarono del panorama e della splendida giornata, parlarono di poesia e di filosofia, due delle materie preferite di entrambi. Lei sembrava veramente interessata a conoscere le opinioni di lui che di contro restava ad ascoltare affascinato tutte le ineccepibili argomentazioni della sua compagna. Si fermarono all’entrata di Southend, in un piccolo emporio, a fare rifornimento di viveri, poi puntarono dritti alla casa sulla spiaggia.
La costruzione era molto bella, tutta in legno, nel tipico stile a palafitta che caratterizza tutte le abitazioni così vicine al mare. L’ingresso dalla parte della strada era affiancato da un garage dove lasciarono l’auto. Sul retro, un’ampia terrazza affacciata sull’oceano era stata arredata con tavolini, lettini e sedie a sdraio, ideale per feste estive e per prendere il sole al riparo dagli sguardi della folla. Sulla destra, un grande barbecue e un ampio ripiano in marno rosa rivelavano i resti di una festa recente. Il resto della casa era distribuito su due piani, con le camere da letto, sei in tutto, al piano superiore e al piano terra un salone immenso e una cucina ben attrezzata. L’arredamento era stato scelto con gusto ed eleganza, probabilmente opera della madre della direttrice a giudicare dall’età dei mobili.
«Qualcuno è stato qui di recente.» Disse Mark alzando un po’ il tono della voce, per richiamare l’attenzione di lei che era in cucina a sistemare quello che avevano comprato.
«Mia sorella viene qui spesso. È lei che si occupa di tutti i lavori di manutenzione. Lei e suo marito ci passano quasi tutti i weekend. Il più delle volte ci vengono anche con amici.»
«E oggi dove sono? Non avranno rinunciato con una così splendida giornata?»
«Al contrario. Ora saranno sicuramente in barca. Sono appassionati velisti e navigatori straordinari. Di solito partono presto, passano tutta la giornata in mare e fanno rientro verso il tramonto.»
«Non hanno figli?»
«Hanno provato ad averne uno, lo desideravano tanto, ma mia sorella è sterile.» Le ultime parole furono pronunciate con un tono di voce piuttosto basso. Mark si affacciò all’ingresso della cucina e restò immobile ad osservare il suo viso triste.
«Mi dispiace di aver toccato un tasto dolente. Non volevo metterla in imbarazzo né tantomeno riaprire vecchie ferite. Mi sento molto stupido.»
Lei si avvicinò al corpo del ragazzo. Lo fissò negli occhi per un istante che parve durare in eterno, poi lo accarezzò con dolcezza sulla bella guancia liscia.
«Non devi scusarti, non potevi sapere. Non rendermi ancora più triste negandomi il tuo bel sorriso.» Mark abbozzò una smorfia con la bocca, la cosa più simile ad un sorriso che riuscì a fare. «Bravo, così è già meglio. Intanto che ne diresti di aprire una bottiglia di porto. I vini sono in quel ripiano e in quella credenza troverai sicuramente dei bicchieri adatti. Appena ho finito ti raggiungo in veranda.»
Mark raggiunse il ripiano dei vini assorto in vaghe meditazioni e quasi come un automa afferrò due bicchieri di cristallo, bassi ma larghi, che d’istinto pensò potessero andare bene per il porto. In veranda aprì la bottiglia, riempì i due bicchieri e dal suo bevve un lungo sorso, quindi lo riempì ancora. Il dolce sapore del porto, la sua corposità, l’inconfondibile odore liquoroso, lo risollevarono un po’ di morale. Quando lei lo raggiunse era appoggiato con i gomiti sulla ringhiera di legno, in mano stringeva un bicchiere e con lo sguardo scrutava l’oceano. Elena prese il suo bicchiere poggiato affianco la bottiglia su un piccolo tavolino di forma rotonda e si sistemò al suo fianco nella stessa posizione. Bevve una piccola sorsata e iniziò a parlare.
«Ho dovuto rinunciare alle gare di nuoto perché rimasi in cinta quando avevo diciannove anni. Ero una ragazzina impaurita che aveva commesso un errore, non ero neanche certa di chi fosse il padre e mi convinsi che l’aborto fosse la migliore soluzione del problema. Con l’aborto si sarebbe sistemato tutto, si poteva far finta che non fosse successo niente e continuare come sempre, ma non fu così semplice. Dopo l’intervento mi resi conto che avevo distrutto una vita, una piccola vita che cresceva dentro di me e che contava su me per poter venire al mondo. Sprofondai in una lenta depressione, persi interesse per tutte le cose che prima mi entusiasmavano, abbandonai la squadra di nuoto e col tempo rinunciai a tutte le mie amicizie. In un certo senso era come se cercassi di autopunirmi per quello che avevo fatto. Ci sono dei peccati al mondo che non è possibile espiare e io lo capì poco tempo dopo. Mia sorella si era sposata l’anno prima e da allora aveva provato di tutto per rimanere in cinta. Alla fine, scoprirono che era sterile e che non avrebbe mai potuto avere figli suoi. Puoi immaginare la sua reazione quando venne a sapere che io avevo rinunciato al mio bambino. Anche se non lo ha mai ammesso, penso che per un periodo mi abbia anche odiata, perché io avevo buttato via quello che lei desiderava più di ogni altra cosa e non poteva avere. Tuttavia, ora siamo in buoni rapporti e io le sono molto affezionata.»
«Nella vita tutti vogliono qualcosa che non possono avere. Fa parte dell’ambizione umana ed è quello che ha permesso all’uomo di evolversi nell’arco dei secoli. Icaro voleva volare come un uccello e tutti lo ritenevano un pazzo. Oggi il suo sogno permette a milioni di persone di muoversi in aereo liberamente. Anche tua sorella un giorno avrà quello che desidera, basta trovare la strada giusta. E ancora una cosa! Non ci sono peccati tanto gravi che non possono essere espiati. Mio nonno mi ripeteva spesso che solo alla propria morte non c’è rimedio.»
«Da dove viene tutta questa saggezza?»
«La mia è una antica famiglia e ci tramandiamo queste perle di saggezza di generazione in generazione.»
Entrambi scoppiarono a ridere. Lei era molto bella quando rideva. Il volto si illuminava, le guance si arrossavano leggermente e una graziosa fossetta appariva sui lati della bocca sensuale.
«Se ti va puoi raccontarmi della tua famiglia mentre preparo il pranzo. Sono quasi le due, devi essere affamato. Metti su un compact e raggiungimi in cucina. Non dimenticare il porto.»
Si diresse velocemente verso la cucina e sparì una volta superato l’ingresso. Lui rimase ancora un po’ a contemplare mentalmente la sua splendida immagine. Era una donna molto forte, oltre che molto bella. Poi prese la bottiglia di vino e raggiunse lo stereo nell’angolo sinistro del salone. Impiegò una decina di minuti per scorrere velocemente tutti i CD ordinati con cura in un contenitore di legno pregiato. Il repertorio svariava dalla musica classica al più moderno hiphop. Alla fine, scelse un vecchio album dei Police e si recò in cucina mentre la voce inimitabile di Sting intonava la versione originale di Roxane.
«Ottima scelta, io adoro i Police. Versami ancora del vino per favore e cerca in uno di quei cassetti una tovaglia per la tavola.»
Lui versò il vino nel bicchiere che era sul tavolo alle sue spalle, poi si girò di scatto in direzione dei cassetti e andò a sbatterle addosso. Istintivamente la abbracciò forte, per sostenerla. Rimasero abbracciati per un tempo che parve infinito, poi lui la liberò lentamente, come se avesse paura che non riuscisse a sorreggersi.
«Mi scusi, non volevo. Le ho fatto male?»
«È stata colpa mia, mi sono girata velocemente per prendere dell’origano e ti sono venuta addosso. Grazie per avermi sorretto.»
«Se per lei è tutto apposto, prendo la tovaglia.»
Lei lo guardò per un attimo. «Non darmi del lei. Chiamami Elena, ti va? È più intimo!»
«D’accordo!» Rispose lui guardando a lungo nei suoi magnifici occhi verdi. Poi si voltò a destra, in direzione della cassettiera. Ne cavò fuori una tovaglia di lino bianca e due tovaglioli coordinati e si affretto ad apparecchiare la tavola. Tagliò il pane francese che avevano comprato e ricoprì alcune fette con dell’insalata russa. Poi si occupò di bicchieri e posate. Nel giro di pochi minuti erano seduti uno di fronte all’altra a fare onore al piatto di gulasch più buono che avesse mai mangiato.
«Allora,» lo stuzzicò lei «dovevi parlarmi della tua famiglia o sbaglio?!»
«Dunque, vediamo…» intanto si era passato il tovagliolo sulle labbra e aveva bevuto una piccola sorsata di vino. «Mio nonno era italiano, cambiò il suo cognome appena giunse in America, nel millenovecento trentaquattro.»
«È per questo che l’auto ha la guida a destra? Tuo nonno l’ha comprata in America?» Lo interruppe lei.
«Per la verità la macchina è tedesca. Mio nonno l’ha comprata nel millenovecento settantasette, lo stesso anno in cui nacqui io. Allora la mia famiglia risiedeva in Austria. Mio nonno nei primi anni in America si era occupato di commercio. In pochi anni il suo patrimonio ammontava già a svariati milioni e si era creato la fama non solo di grande commerciante ma anche di abile diplomatico, e nel millenovecento quarantacinque, alla fine della guerra, ricevette incarico dal presidente di recarsi in Europa per seguire da vicino le fasi della negoziazione di pace. Si stabilì quindi a Varsavia, dove avevano luogo tutti gli incontri diplomatici di un certo prestigio, poi alla fine decise di tornare in Italia. Rimase nella penisola il tempo necessario per rendersi conto che non era più il paese che aveva lasciato quando era partito inseguendo il suo sogno di diventare milionario e ripartì per l’America dove trascorse il resto della sua esistenza.»
«Era un uomo che amava viaggiare!» Interruppe lei, dandogli il modo di bere un altro sorso di porto.
«Fondamentalmente era un gran brontolone, mai soddisfatto di nulla. Ma aveva una grande passione per ogni forma di conoscenza e questa è stata la sua vera forza. I suoi spostamenti erano sempre guidati dal desiderio di imparare cose nuove, conoscere nuove persone, visitare nuovi luoghi, parlare diverse lingue. Credo che sia l’unica cosa che ho ereditato da lui.»
«Tuo padre invece, di cosa si occupa?»
«Mio nonno si era fatto da solo, non aveva praticamente alcuna cultura quando intraprese la sua avventura americana e una delle cose che aveva capito era che senza una cultura adeguata il mondo poteva essere molto difficile. Per questo impose a mio padre prima, e a me dopo, una rigida educazione di tipo militare accompagnata da una istruzione di tipo politico economico. Mio padre si è laureato in economia a Princeton nel sessanta e dopo un breve periodo di apprendistato in altre aziende ha iniziato a lavorare per la ditta di famiglia. Da cinque anni circa ricopre la carica di console americano ed è sempre in giro per il mondo con mia madre. In giugno partiranno per il Madagascar quindi non potranno essere a Londra per il mio diploma ed è per questo che mi hanno mandato l’auto: ho intenzione di fare un giro per l’Europa per un paio di mesi prima di iscrivermi all’università.
«Hai già scelto sede e facoltà?»
«Ho fatto domanda alla Los Angeles University. Dovrei iniziare in ottobre.»
«Quindi lascerai l’Europa!» Una nota di amarezza traspariva dal tono della sua voce e dal modo in cui quell’ultima frase era stata pronunciata. Mark ne fu veramente sorpreso. Sapeva che fra loro si era instaurato un legame che andava molto oltre il normale rapporto fra allievo e direttrice ma non si aspettava certo che lei provasse qualcosa di più profondo di una semplice amicizia; in un certo senso la cosa lo lusingava ma ne era anche molto spaventato.
Già prima si era interrogato su quali fossero i suoi reali sentimenti e si era convinto che fra loro non ci sarebbe mai potuto essere niente, soprattutto considerando la differenza di età e di ruoli che li separava. Oltre a questo, si era convinto che lei non fosse realmente interessata a lui come uomo ma semplicemente come allievo e questo lo aveva portato all’erronea convinzione che una donna così straordinaria non poteva infatuarsi di un ragazzo così inesperto. Aveva formulato tutti questi pensieri con la mente rivolta al suo trasferimento e si era illuso che con la fine dell’anno e la sua partenza per l’università tutta la storia sarebbe stata dimenticata. Sapeva che probabilmente non si sarebbero più rivisti ed era inutile iniziare qualcosa che non avrebbe potuto avere alcun futuro. Ora, improvvisamente, sentiva di aver sbagliato tutto. Qualsiasi storia, anche la più piccola e all’apparenza più insignificante, ha il potere di cambiare un individuo, contribuendo alla formazione del suo carattere e della sua personalità, ed è per questo che deve essere vissuta quanto più intensamente possibile. Suo nonno glielo ripeteva spesso e lui lo aveva dimenticato; era stato molto stupido, ma nulla era ancora irrimediabilmente perduto.
«Partirò in giugno, con la chiusura dell’anno scolastico, quindi per due mesi sono ancora a tua completa disposizione. Per cominciare, che ne dice di andare a fare una passeggiata in spiaggia? Mi occuperò dei piatti al nostro ritorno.»
«Vada per la passeggiata, ma per i piatti c’è la lavastoviglie che sicuramente è più adatta. Finisci il vino, non ci metterò più di dieci minuti.»
Dieci minuti dopo erano in spiaggia e camminavano a piedi scalzi sulla sabbia tiepida riscaldata dal sole, tenendosi per mano come una coppietta di giovani innamorati. Si fermarono una volta giunti al bagnasciuga. Lei gli lasciò la mano per saggiare l’acqua con un piede, poi, colta da un brivido improvviso, corse a stringersi al suo braccio destro.
«Brrr. È gelida. Accidenti, pensavo che il sole degli ultimi giorni avesse scaldato un po’ la temperatura dell’oceano.»
Mark la fissò innamorato mentre lei si stringeva al suo braccio alla ricerca di un po’ di calore. Finalmente le passo una mano intorno alle spalle e la attirò al suo petto, cingendola forte ma al tempo stesso con infinita dolcezza. Lei si lasciò abbracciare languidamente, poi si sollevò sulle punte, inclinò il capo verso destra e gli avvicinò le labbra leggermente socchiuse.
Si baciarono a lungo, all’inizio lentamente, mordicchiandosi piano, gustando quella piacevole sensazione vellutata come di solito si fa con un gelato alla crema, poi con un ardore sempre maggiore, in preda ad una foga quasi esagerata. Il rumore delle lingue che si toccavano era coperto dall’ansimare dei loro corpi, le mani si muovevano liberamente per tutto il corpo, alla ricerca di un contatto che desideravano più profondo. Il desiderio che era cresciuto dentro prima lentamente, poi con la forza di un vulcano in eruzione e li faceva fremere di una passione accesa.
Si fermarono insieme, guardandosi intensamente attraverso le lenti scure degli occhiali da sole, poi puntarono dritti verso la casa, avvinghiati uno all’altra in una stretta quasi soffocante, continuando a baciarsi di tanto in tanto, consapevoli entrambi che presto avrebbero provato l’apice di quel desiderio che li aveva guidati in questi mesi.
Entrarono in casa ancora avvinghiati, lei con le braccia intorno al suo collo, lui che la stringeva stretta alla vita e continuava a baciarla con passione. Si chiusero la porta a vetro scorrevole alle spalle, poi si stesero sul divano e lì continuarono a baciarsi per altri intensissimi dieci minuti, durante i quali non trascurarono di toccarsi dappertutto. Lui le accarezzò con delicatezza la parte interna della coscia destra, partendo dal ginocchio e risalendo lentamente verso l’inguine. Lei gli sfilò la camicia e godette intimamente della piacevole sensazione di poter accarezzare tutta la sua schiena nuda.
Questa volta fu lei a fermarsi. Si sollevò leggermente col busto, allontanandolo con le braccia tese, lo guardò negli occhi e disse: «Di sopra saremo sicuramente più comodi.» Quindi si sollevò in piedi, lo prese per mano e lo strascinò al piano superiore, continuando a guardarlo con gli occhi pieni di desiderio, lanciando sguardi ammiccanti e sorridendo maliziosamente.
La camera da letto era piuttosto grande, arredata in stile neoclassico, con un grande letto a baldacchino al centro, ricoperto da un piumone color pesca e arricchito da una moltitudine di cuscini i cui colori coprivano tutta la gamma del rosa. Le pareti erano ricoperte da una carta da parati in tinta con il piumone e un insieme di piccoli faretti emanavano una luce soffusa ma nel complesso calda e molto intima.
Mark chiuse la porta e quando si voltò rimase senza fiato. Con le spalle rivolte verso il letto lei lo fissava e intanto, lentamente, liberava ogni bottone della camicia di seta dalla sua prigione di stoffa. Quando ebbe finito, due seni sodi, perfettamente tondi, rivelarono che non portava reggiseno e due capezzoli turgidi come ciliege lo invitavano golosamente. Sempre continuando a fissarlo abbassò la chiusura lampo della gonna, e lasciò che cadesse ai suoi piedi. Aveva tolto le calze autoreggenti quando erano andati in spiaggia e solo un paio di sgambate mutandine in pizzo nero continuavano a celare la visione del suo sesso. Le tolse rapidamente, sedendo per un istante sul grande letto matrimoniale, poi si rimise in piedi e si avvicinò lentamente a lui.
Il ragazzo era rimasto immobile ed assisteva estasiato a quello spettacolo affascinante. Quando lei si avvicinò provò una specie di sussulto. Si fermò a pochi centimetri da lui, attendendo una sua reazione che non tardò ad arrivare. Con la mano destra le prese il seno sinistro, delicatamente, godendo della piacevole sensazione di morbidezza che comunicava ai suoi polpastrelli. Lo accarezzò a lungo, seguendone con l’indice tutto il contorno, poi strinse piano il capezzolo, attento a non farle male. Quando le vide inarcare la schiena, con gli occhi chiusi e un’espressione estatica sul volto, si accorse che la cosa le piaceva e strinse più forte. La fissò affascinato mentre l’eccitazione le montava dentro e si meravigliò di quando potesse essere bella e desiderabile una donna quando raggiunge il culmine del desiderio.
Quando lei si riprese, dopo un attimo di languido smarrimento, lo accarezzò sul ventre piatto, ben scolpito dagli addominali, quindi gli tolse la cinta e iniziò a far saltare uno alla volta i bottoni dei suoi jeans. Dopo i pantaloni fu la volta dei boxer neri aderenti che lei sfilò mentre si piegava per dare un bacino al suo lungo cazzo teso. Lo abbracciò ancora, lasciando cadere la camicia e premendo forte il seno contro il suo torace. Quindi indietreggiò costringendolo a seguirla fino a quando non raggiunse il letto. Lì si svincolò, con la sinistra prese la sua mano destra e si distese morbidamente, invitandolo a fare altrettanto.
Mark restò un attimo a fissare eccitato il corpo di quella stupenda creatura che giaceva disteso nudo davanti ai suoi occhi. Poi si piegò su di lei e iniziò a baciarla dapprima sulle caviglie, poi sull’interno coscia, a lungo, delicatamente, risalendo con studiata lentezza verso l’inguine. In prossimità della fica, l’odore invitante dei suoi succhi d’amore lo attirò docilmente. Le baciò le grandi labbra che subito si gonfiarono, quindi tentò di forzare con la lingua la porta del piacere. Lei intanto, con la schiena arcuata e le gambe completamente divaricate per facilitare il suo compito, gli accarezzava i lisci capelli, gemendo e mugolando ogni volta che lui sollecitava il suo piacere.
Rimasero a lungo in questa posizione. Lui prima le stimolò il clitoride, poi, sempre con la punta della lingua, disegnò strani ghirigori sul suo sesso. Infine, le mordicchiò le labbra, prima piano, poi sempre più forte. Sentì l’orgasmo che le nasceva dentro e si preparò a raccoglierne i suoi dolci umori. Quando lei venne lui bevve avidamente, spingendo la lingua sempre più a fondo, stringendo forte i suoi glutei sodi, ansioso di poter presto godere insieme a lei.