Sensazioni
Cap 8 - Meglio evitare dolorosi addii
Andare a letto con una ragazza
vuol dire soltanto essere riuscito a farle fare quello che piace anche a lei,
ma da questo a farle fare quel che piace a noi, ci corre assai.
Choderlos de Laclos
Alle undici di Lunedì quattordici Giugno 1993 Mark lasciò la Scuola Militare H. Nelson. Era una bella giornata estiva piena di sole, la giornata ideale per mettersi in viaggio con un’auto decappottabile. Il suo programma prevedeva di raggiungere la Scozia in due, forse tre giorni, e trascorrere lì almeno un paio di settimane nella grande tenuta di campagna del suo compagno di stanza Andrea Detmer. Poi, sempre in auto avrebbe raggiunto il continente e viaggiato per oltre due mesi per tutta l’Europa, visitando i paesi più belli e le città più importanti. Tutto questo entro la metà di settembre; ovunque fosse stato per quella data avrebbe spedito l’auto e avrebbe raggiunto Los Angeles in aereo in tempo per i corsi di ottobre.
Una persona incaricata dai suoi genitori si stava dando da fare per trovargli una sistemazione adeguata nella città degli angeli, una casa che fosse poco distante dall’università e in una zona tranquilla. Suo padre gli aveva consigliato una via centrale o un quartiere alla moda; lui preferiva una casa vicino alla spiaggia oppure sulle colline. Comunque, la decisione finale sarebbe stata sua.
Per l’estate non aveva un programma preciso o un compagno di viaggio; era libero di andare o fare qualsiasi cosa e questa era la parte più emozionante di tutta la faccenda. Non aveva neppure un grosso bagaglio: la settimana precedente aveva imballato tutta la sua roba e l’aveva spedita al nuovo indirizzo dei suoi genitori nel Madagascar; poi loro avrebbero provveduto a spedirla a Los Angeles quando lui fosse stato pronto. Aveva qualche vestito di ricambio in una sacca azzurra, il suo portatile e il telefono cellulare: un viaggio in solitudine andava bene ma non era necessario restare isolati o irraggiungibili. Il numero del cellulare era noto a una cerchia di amici e parenti molto ristretta, persone che era sempre lieto sentire, e il portatile gli assicurava un accesso ad Internet da qualsiasi posto; almeno non avrebbe perso il contatto con la vita precedente. Tutto il resto di cui aveva bisogno poteva comprarlo di volta in volta.
Il giorno precedente c’era stata la consegna dei diplomi, seguita dalla grande festa che lui aveva organizzato negli ultimi due mesi. Tutto era stato perfetto, almeno così avevano detto professori e amici che aveva incontrato quella mattina di partenze. Tutti si salutavano con affetto e calore, soprattutto i ragazzi dell’ultimo anno, quelli che a settembre non sarebbero stati lì per l’apertura delle lezioni. Molti avrebbero frequentato la stessa università, altri promettevano di tenersi in contatto; Mark sapeva che non avrebbe rivisto nessuno di loro. I suoi compagni appartenevano alla ricca borghesia europea, avrebbero frequentato prestigiose università europee e avrebbero lavorato nelle aziende di famiglia. Lui era di origini italiane, era nato in America e aveva vissuto gran parte dell’adolescenza in giro per l’Europa. Ora tornava in America per l’università e non aveva la più pallida idea di dove avrebbe lavorato; si sentiva cittadino del mondo e la cosa gli piaceva molto.
Mentre finiva di sistemare le sue cose in auto vide Andrea attraversare il cortile di fronte l’edificio principale; un grosso paio di occhiali scuri coprivano i postumi di una sbronza memorabile. Gli si fece incontro col solito sorriso bonario e gli tese la destra.
«Allora Goodwind, siamo d’accordo per le due settimane in Scozia?»
Mark gli sollevò gli occhiali e controllò il pessimo stato del suo compagno. La festa ufficiale era stata tranquilla e non c’erano stati alcolici. Era stato il classico party di commiato fra studenti e professori; naturalmente per i diplomati la festa era andata avanti tutta la notte in un’ala secondaria dell’edificio che ospitava la palestra e lì l’alcool era scorso a fiumi. Mark era riuscito anche a far entrare nell’istituto due spogliarelliste che avevano animato la serata e reso la festa davvero memorabile; le aveva spacciate per sue cugine e durante la cerimonia di consegna dei diplomi si erano unite alla folla di genitori, amici e parenti. Poi, mentre gli estranei visitavano la scuola le aveva nascoste nella sua stanza. Il trasferimento alla festa era stato facile, più difficile farle uscire la mattina; a questo aveva pensato Andrea e conoscendolo Mark era sicuro che prima fosse andato a letto con una di loro o forse con entrambe.
«Andrea, sei uno straccio. Dormi un paio d’ore prima di partire, o rischi davvero che i tuoi genitori non ti riconoscano in aeroporto.»
«Sta tranquillo, ho il volo alle cinque e i bagagli sono già pronti. Faccio una doccia e poi una dormita. Dimmi di te piuttosto, che fine hai fatto ieri sera? Ti ho cercato tutta la notte.»
«Ero in camera.»
«Cazzate! In camera c’ero io, con le due ragazze. Tu dov’eri? Non avevi mai avuto bisogno di mentire con me, che ti succede?»
«Non succede nulla. Avevo delle cose da sistemare e poi volevo stare un po’ da solo; avevo bisogno di riflettere e una festa non è il modo migliore per mettere insieme i pensieri.» Mentre parlava muoveva le mani descrivendo ampi cerchi vicino al torace.
Da sotto gli occhiali scuri Andrea lo guardava fisso, attento alle sue parole ma soprattutto ai suoi gesti. Mark era nervoso; non era da lui muovere le braccia e gesticolare in quella maniera. Solitamente era calmo e compassato e questa era una delle qualità che più gli invidiava, ma da un paio di mesi si comportava in modo strano e la cosa lo preoccupava.
«Ha a che fare con la tua nuova fiamma?»
«Di quale fiamma parli?»
«Andiamo Mark… Ci conosciamo da tanto tempo e non ti avevo mai visto così… Insomma, negli ultimi due mesi hai passato quasi sempre la notte fuori, tutti i weekend sei partito solo per non si sa dove e sul viso avevi sempre quell’espressione da pesce lesso…Non ti ho detto niente prima perché mi sembrava che tu fossi felice, ma adesso comincio ad essere preoccupato. Avanti, chi è la fortunata?»
«Non c’è nessuna donna Andrea.»
«Forse non c’è adesso, ma c’era prima, ne sono sicuro!» Passarono un paio di minuti in silenzio, guardandosi negli occhi e cercando entrambi le parole giuste per continuare quella conversazione. Fu Mark a rompere il silenzio.
«Hai ragione, c’è stata una donna, ma ora è tutto finito e preferirei non parlarne. Scusa…»
«Non ti devi scusare. Sono tuo amico, mi preoccupo per te, e se quello di cui hai bisogno è una spalla su cui piangere sono sempre pronto.»
«Grazie, davvero.» Posò una mano sulla spalla dell’amico e strinse forte. «Cosi ti sei fatto Clorinne e Ashley?»
«Ieri notte ti cercavo per questo; avremmo potuto dividercele, fare una a testa. Dovevi vedere la mora, quella Clorinne, una vera bomba di sesso.»
«Lo so! Sono lesbiche.»
Andrea lo fissò come stordito, poi capì e scoppiò a ridere. Risero entrambi, come non facevano da tempo, trattenendo a stento le lacrime.
«Ci sei stato anche tu?»
«Proprio così! E mi sono anche divertito molto. Come credi che le abbia conosciute?»
«Accidenti a te!»
Continuarono a ridere per un po’, scambiandosi impressioni sconce sulle due ragazze. Per Mark era assurdo avere segreti con Andrea; si conoscevano da cinque anni, da quando erano diventati compagni di stanza subito dopo l’iscrizione. Erano andati subito d’accordo; allora erano due ragazzini appena quattordicenni, spaventati dalla prima esperienza fuori casa, lontani dalla famiglia e dagli amici d’infanzia. Insieme avevano affrontato le difficoltà legate allo studio, insieme avevano trascorso intere nottate parlando o semplicemente ascoltando musica, si erano scambiati impressioni sulla vita, si erano consigliati e si erano consolati nelle giornate storte. Insieme avevano scavalcato il maestoso cancello in ferro battuto per andare a Londra al concerto degli U2; la mattina dopo Mark era stato scoperto dal direttore Dumbmi ed era stato punito con due settimane di sospensione. Andrea si era fatto avanti spontaneamente, si era dichiarato complice e gli era toccata la stessa punizione; trascorsero quelle due settimane lavorando nell’acciaieria del padre di Andrea. Una punizione aggiuntiva perché avessero modo di riflettere su quello che avevano fatto e su quello che li aspettava se non avessero preso seriamente lo studio.
«Era la direttrice.» Disse Mark improvvisamente. «La donna di cui parlavi prima, era la direttrice. Ho avuto una relazione con la direttrice Signorit, per tre mesi circa e non so perché non te ne ho parlato prima.»
Andrea lo fisso serio per un attimo, poi gli sorrise come faceva sempre e con voce calma disse:
«Lo so! Per la verità l’ho sempre saputo!» Mark lo guardò sbalordito.
«Lo hai sempre saputo? Cosa significa che lo hai sempre saputo? Come hai fatto a capirlo?»
«Mark… Sei uno dei più bei ragazzi che conosca, sei intelligente, spiritoso, maturo e a quanto mi dicono a letto sei una macchina da sesso. Lei è una bella donna, altrettanto intelligente e piena di spirito. Entrambi single…Mi sarei sorpreso se non fosse successo! Vi ho visto parlare in piscina e passeggiare in intimità per i viali del campus. Le vostre alchimie sono perfette; probabilmente in una vita passata siete stati grandi amanti…»
«Siamo stati grandi amanti anche in questa vita.» Replicò Mark contento di essere stato del tutto sincero.
«Ne sono sicuro. Ora il problema è un altro: tu l’ami?»
«Andiamo Andrea…Fra noi ci sono vent’anni di differenza, per non parlare poi del fatto che io sono un suo alunno…»
«Qui le storie stanno a zero Mark. Il punto è uno e uno soltanto e tu solo puoi dare una risposta all’interrogativo che volevi risolvere ieri sera: l’ami?» Lo guardava a muso duro, come faceva tutte le volte che voleva scuoterlo dalle sue indecisioni, fissandolo negli occhi e costringendolo a sostenere il suo sguardo.
«Credo di sì!»
«Allora dimenticala! Fai tutto quello che è necessario, castrati se credi, ma dimenticala. Tu hai una cosa che pochi hanno, chiamala dote o dono degli dei se vuoi, ma sei una delle persone più intelligenti che conosca. A ottobre frequenterai una delle università più prestigiose al mondo e probabilmente dopo la laurea diventerai il nuovo Bill Gates; non puoi pensare di buttare tutto alle ortiche per una donna o per un sentimento, non è giusto per te e per tutti quelli che come me credono in te. Semplicemente non te lo puoi permettere e io non permetterò che tu lo faccia. Forse posso sembrare duro o cinico, ma questa è la realtà, semplice e disincantata, e non puoi pensare di cambiarla.»
«Allora non c’è possibilità di essere felici?»
«Nessuno ha mai detto che la realtà è bella. Perché credi che si sogni o si fantastichi? Perché la realtà è un boccone così amaro da mandar giù che a volte è meglio non pensarci, è meglio inventarsi un surrogato di realtà in cui mettere solo le cose buone, quelle che ci fanno stare bene. Qualcuno si buca, qualcuno va al cinema, qualcun altro si è creato il suo mondo perfetto al computer, ma il discorso è uguale per tutti: meglio la realtà artificiale, virtuale se preferisci il termine, se quella vera fa tanto male. Del resto, conosci il detto: “se son rose fioriranno”. Se fra dieci, quindici anni sarai ancora innamorato di lei, nulla ti impedisce di realizzare il tuo sogno d’amore.»
«Quindici anni?! Andiamo Andrea! E che mi dici del cogliere l’attimo, del vivere il momento, dell’essere artefici del proprio destino!?»
«Ti dico che sono belle parole e probabilmente in altre circostanze sarei anche d’accordo con te, ma non stavolta; e sono convinto che anche lei la pensa come me. Ieri vi sarete salutati, immagino!»
«Ho passato tutto il giorno cercando di parlarle ma lei era sempre occupata con qualcuno o con qualcosa; poi dopo la cerimonia dei diplomi l’ho cercata dappertutto ma non sono riuscito a trovarla. Sono stato anche a casa sua ma se era lì non ha voluto aprirmi. È questo il mio dilemma: avrei voluto parlarle un’ultima volta prima di partire, spiegarle quello che sento. Forse insieme avremo potuto trovare una soluzione!»
«Mark! Ieri lei ti ha evitato deliberatamente; in questo modo sarà più facile lasciarvi. Ti ha mandato un messaggio chiaro: “vivi la tua vita, non sprecare quello che hai per un storia impossibile”. Possibile che non ti entra nella testa? Almeno uno di voi due ha dimostrato di avere un po’ di buon senso.»
«Forse hai ragione!» Con una certa riluttanza Mark cominciava a credergli.»
«Certo che ho ragione! E ora sali in auto e parti senza voltarti indietro; a volte rimpianti e rimorsi possono consumare una persona.» Gli batté una mano sulla spalla e si incamminò diretto alla camera dove insieme avevano trascorso gli ultimi cinque anni. Si fermò a metà della scalinata e si voltò di scatto. «Ci vediamo in Scozia fra un paio di giorni e vedrai che per allora tutto ti sembrerà diverso. Fa buon viaggio.» Fece un cenno con la destra e si incamminò piano, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, scuotendo la testa e bofonchiando qualcosa di incomprensibile. Mark lo seguì con lo sguardo finché non sparì per i corridoi dell’edificio.
Quanti ricordi lo legavano a quel posto; era entrato che era soltanto un ragazzo e ne usciva che era un uomo. Cinque anni della sua vita trascorsi lì dentro non si sarebbero cancellati dalla memoria facilmente. Nel bene o nel male quel posto aveva segnato una parte importante della sua crescita e non solo di quella culturale.
Guardò ancora una volta l’imponete facciata di mattoni rossi e passò in rassegna tutte le finestre del terzo piano che si affacciavano sul cortile. La prima partendo dalla sinistra era la camera di De Ross e Gredcurt, dove tante notti aveva trascorso giocando a poker e fumando i sigari cubani che il padre di Gredcurt mandava al figlio dalla Avana; poi veniva la camera di Modischi e Asmodish, da dove avevano lanciato il razzo costruito a lezione di chimica che aveva incendiato l’auto del professore di storia contemporanea. La camera di Simons e Mac Cleuty, due degli studenti più brillanti di tutto l’istituto; quanti esami avevano preparato tutti insieme chiusi in quella stanza. L’ultima finestra era quella della sua stanza; le imposte erano chiuse, ma anche così riusciva a vederla chiaramente, come una fotografia nella sua mente. I due letti al centro della camera, divisi dal piccolo comodino con le due lampade, le due scrivanie addossate al muro opposto, l’ampio armadio vicino alla finestra. E poi le mensole, piene di libri e oggetti di ogni genere, disposte a varie altezze su tutte le pareti, e i poster appesi ovunque vi fosse un po’ di spazio libero. E naturalmente il loro lampadario: una palla stroboscopia che Andrea aveva comprato per pochi soldi dal proprietario di una discoteca costretta a chiudere per fallimento. Era l’attrazione principale di tutto l’istituto e avevano deciso di lasciarla lì come regalo per i nuovi arrivati.
Ora tutto questo era finito; non ci sarebbero più state nottate insonni passate sui libri tutti insieme in una stanza, niente più scherzi e partite di poker, niente più partite di basket nelle ore libere o pranzi rumorosi nel refettorio. “Le cose cambiano”, pensò, “tutto sta nel cambiare insieme a loro, nel non farsi trovati impreparati e nel non farsi travolgere dagli eventi.”
Sentì uno strano nodo stringergli la gola; non voleva piangere ma era come se sentisse di non poterne farne a meno. Infilò gli occhiali da sole e si sentì meno vulnerabile, poi saltò in auto, mise in moto e partì. Aveva i pensieri in subbuglio, e, cosa peggiore, non riusciva a capirne il motivo. Era triste perché lasciava i suoi amici e si preparava a cambiare vita, ma soprattutto era triste perché abbandonava Elena. Sentiva di amarla, di questo era sicuro, ma il suo comportamento lo disorientava e lo lasciava pieno di dubbi. Perché il giorno prima lo aveva ignorato?
Percorse il lungo viale albero e il ricordo della domenica in cui si erano incontrati lì casualmente e poi erano andati insieme al mare lo proiettò in una galleria di ricordi. Ripensò a tutte le volte che erano stati insieme e avevano fatto l’amore negli ultimi mesi.
C’era stata quella volta che lei lo aveva chiamato con gli altoparlanti disposti per tutto l’istituto. Lui all’inizio aveva pensato che fosse accaduto qualcosa di grave, che qualche esame fosse andato male o, peggio ancora, che qualcuno li avesse scoperti. Era corso nel suo ufficio in preda ad uno strato stato d’agitazione; la segretaria lo aveva fatto attendere dieci minuti, poi era entrato nell’ampio salone che ospitava la presidenza e aveva visto Elena sorridere maliziosa.
«Venga pure avanti sig. Goodwind» le aveva detto in tono formale «e chiuda la porta cortesemente.» Lui aveva fatto come gli era stato chiesto, poi si era voltato in tempo per vederla mentre si sfilava la camicetta di seta marrone e metteva a nudo il suo splendido seno; improvvisamente si era sentito sollevato.
Con l’indice gli aveva fatto cenno di avvicinarsi e sedersi sulla sua poltrona, si era accomodata sulle sue gambe e gli aveva avvicinato al viso il seno sinistro per permettergli di prenderlo in bocca. Obbediente come un cucciolo Mark aveva lasciato che fosse lei a condurre lo strano gioco; avrebbe voluto baciarla sulle labbra carnose, con forza e passione, ma lei non glielo permise, così si accontentò di succhiare il rosso capezzolo duro come una ciliegia.
Lei gli accarezzava i capelli e si contorceva con tutto il corpo ogni volta che lui succhiava con più forza oppure mordeva con delicatezza quella piccola zona così sensibile. Poi premette un pulsante da una scatola quadrata sulla scrivania e attese.
«Dica pure dottoressa.» Era la voce della segretaria; evidentemente la scatola doveva essere l’interfono.
«Non credo di aver bisogno di lei per almeno un paio d’ore; vada pure a pranzo.» Cercava di liquidarla pensò Mark.
«Se crede posso aspettare e pranzare con lei.»
«Non credo che pranzerò oggi. Vada pure, non si preoccupi.» Ce l’aveva fatta, si era liberata dell’unica persona che avrebbe potuto scoprirli. Chissà da quanto pensava a una situazione del genere? Non era una cosa improvvisata, o forse sì? Presa da una brama improvvisa non era riuscita a trattenersi e lo aveva mandato a chiamare per poter fare l’amore subito? Il desiderio era così forte che non poteva aspettare di incontrarlo quella sera? O forse l’appuntamento per la serata era saltato per qualche improvvisa difficoltà e intendeva in qualche modo recuperare? Mark non sapeva cosa pensare; continuava a succhiarle il seno e sembrava che la cosa le piacesse molto, mentre lei gli scompigliava i capelli e emetteva mugolii indecifrabili.
«Ci ho pensato per tutta la mattina…» gli sussurrò nell’orecchio «voglio che tu mi prenda qui, nel mio ufficio, così ogni volta che sarò costretta a lavorare chiusa qui dentro almeno potrò fantasticare su noi due.» Quelle parole lo sollevarono; la sua amante voleva semplicemente un ricordo stuzzicante su cui fantasticare quando lui non c’era e la cosa gli parve molto eccitante.
Di colpo la sollevò e la mise seduta sulla scrivania di mogano piena di libri, fascicoli e oggetti di ogni genere e prese a baciarla sulle labbra, con passione, spingendo la lingua nella sua bocca. Le sue unghie affondarono nella schiena e lei si contorse, tentando di svincolarsi, ma lui l’artigliava costringendola all’immobilità.
Quella specie di furore un po’ animalesco aveva avuto l’effetto di eccitarla improvvisamente; spinse per terra ogni cosa, con furia, incapace di resistere alla tensione del momento e si distese inarcando la schiena nuda al contatto con la fredda lastra di vetro che ricopriva il ripiano in legno.
Mark le sollevò la gonna e scoprì che non indossava le mutandine e gli venne in mente che mentre si toglieva la camicetta aveva notato che non portava il reggiseno; forse aveva avuto la sua fantasia la mattina mentre si vestiva per andare al lavoro.
Infilò il volto fra le sue cosce puntando alla fica. Le labbra erano grosse e bagnate; l’odore che sprigionava quando era eccitata lo faceva impazzire. Era un odore dolciastro, simile a quello del muschio dopo un acquazzone; era già in erezione e quello aumentò di molto il suo eccitamento.
Gli furono sufficienti pochi colpi di lingua sul duro clitoride per farla venire. La vide tendersi come la corda di un violino che a ogni vibrazione sprigionava melodie di piacere, un piacere che cresceva sempre di più. La osservò mentre perdeva il controllo di sé stessa e ansimava e si dibatteva, come percossa per tutto il corpo da una serie interminabile di terribili sferzate. Vide il volto farsi rosso per la fatica di un piacere così intenso e le labbra sanguigne strette fra i denti, mentre con gli occhi cercava di intercettare il suo sguardo.
“Guardami”, sembrava volesse dire con quei suoi occhi pieni di passione, “sto godendo, e mi piace tanto, e sei stato tu a farmi godere in questo modo.” Per Mark era sempre una gioia vederla in quello stato; ogni volta c’era qualcosa di diverso e misterioso nel modo in cui veniva, nel modo in cui il suo corpo si contorceva per rispondere allo stimolo di inteso piacere. “L’uomo, con la sua l’eiaculazione, si perde molto dell’estasi del sesso”, pensò.
Poggiò la testa sul suo ventre, delicatamente, temendo di farle male o di disturbarla, e restò silenzioso, ascoltando i sommessi gorgoglii che venivano dal profondo delle sue viscere, mentre lei gli passava le mani fra capelli. Sentì il suo cuore che decelerava piano e i polmoni che si gonfiavano sempre più profondamente. Se avesse potuto avrebbe passato una vita intera ad osservarla mentre godeva e poi ad ascoltare il suo corpo che si riprendeva da quella fatica.
Trascorsero qualche minuto in quella posizione quindi Elena si sollevò a sedere. Fece saltare i bottoni della camicia del suo amante, febbrilmente, e si soffermò ad accarezzare i grandi pettorali e gli addominali scolpiti. Seguì con le mani la linea dei fianchi e lo tirò a sé, premendo il seno contro il suo corpo; da quella posizione cominciò a baciarlo, prima sulla spalla destra, poi sul collo e vicino al lobo, infine sulla bocca.
Mark rispose al suo bacio schiudendo leggermente le labbra, lasciando che fosse libera di esplorarlo con la sua lingua mentre le accarezzava le spalle larghe e muscolose.
Il respiro di entrambi si fece rapidamente affannoso. Elena aveva tentato inutilmente di abbassare i pantaloni al suo amato, ma avvinghiati com’erano non era riuscita a trovare e slacciare la cintura; e poi Mark continuava a accarezzarla dappertutto e l’eccitamento la faceva sentire confusa, quasi stordita.
Gli piaceva che lui la frugasse per tutto il corpo; sentiva le sue mani muoversi libere lungo i fianchi, sulle spalle e su entrambe le cosce, ma in questo modo perdeva facilmente il controllo della situazione e non era quello che voleva. Lo spinse via con un gesto brusco, gli sbottonò e abbassò i pantaloni, prese il suo membro teso come l’asta di una bandiera e lo guidò nella sua fica.
Sentì una fitta acuta nel momento in cui entrava e la riempiva tutta; sollevò un po’ il bacino, tirando indietro la schiena, in modo che lui potesse arrivare fino in fondo, caricando il peso sulle mani portate indietro all’altezza del sedere.
Mark la afferrò saldamente per il bacino e iniziò a muoversi, dapprima lentamente, poi sempre più veloce, aumentando progressivamente sia il ritmo che la forza delle sue spinte.
Dopo qualche minuto, Elena sentì un grosso fiotto di sperma caldo che le riempiva l’utero e si concentrò sul viso del suo amante, contratto in un’espressione di estasi mentre le veniva dentro. Si sentiva nuovamente vicina all’orgasmo e non voleva che lui si fermasse proprio in quel momento. Spinse con forza sulle braccia, stringendo forte le ginocchia alla vita di Mark, e si mosse con tutto il corpo, costringendolo ad affondarle dentro ancora un paio di volte.
Venne meravigliosamente per la seconda volta, guardandolo negli occhi mentre un’onda di inteso piacere le sconvolgeva ogni fibra del corpo. Poi, stanca di restare sollevata sulle braccia, appoggiò il sedere sulla scrivania e si distese, costringendo Mark ad abbassarsi su lei.
Restarono a lungo in silenzio, respirando affannosamente; il battito accelerato dei loro cuori rimbombava per tutta la stanza, dando la sensazione di trovarsi all’interno di una enorme gabbia toracica, l’aria era satura dell’odore dolciastro delle loro secrezioni misto al sudore dei corpi, tutti gli oggetti che erano sulla scrivania e alcuni vestiti erano sparsi sulla moquette marrone. Elena si guardò intorno cercando di compilare mentalmente una lista delle cose da fare in ordine di priorità; se qualcuno fosse entrato in quel caos difficilmente non avrebbe intuito che qualcuno aveva fatto sesso.
Allungò un braccio e aprì un cassetto della scrivania dal quale tirò fuori una scatola di fazzolettini di carta. Ne afferrò una manciata e li usò per tamponarsi la fica: l’ultima cosa che voleva era una macchia rivelatrice.
Fece un cenno a Mark che uscì prontamente mentre lei cercava di arrestare il flusso di sperma. Prese un’altra manciata di fazzolettini e sostituì i primi ormai fradici.
«C’è un bagno di là!» Disse invitando Mark a seguirla con un cenno della
testa.
Si lavarono entrambi al piccolo bidet di porcellana bianca ed Elena si ritoccò il trucco di fronte a un grande specchio illuminato da faretti colorati, poi si rivestirono in fretta.
«Ti do una mano a sistemare la roba sulla scrivania.» Propose Mark con in mano una pila di fascicoli già ordinata.
«Non è necessario, posso fare da sola.» Si avvicinò e lo baciò sulle labbra. Poi, col pollice e l’indice cancellò le tracce di rossetto che aveva lasciato. «È meglio che tu vada ora. Non vorrei che qualcuno notasse la tua assenza.»
Mark la baciò sul collo, appena sotto il lobo destro, e lei sentì uno strano formicolio percorrerle la spina dorsale; approfittando della sua distrazione lui infilò una mano sotto la gonna e pizzicò le grandi labbra. Elena ebbe un sussulto.
«Se ha ancora bisogno di me non esiti a chiamarmi.» Disse lui mentre usciva e le inviava un bacio soffiando sulla mano aperta.
Quello fu il primo di una lunga serie di amplessi che i due consumarono in quell’ufficio. Si incontravano lì praticamente ogni giorno all’ora di pranzo e per un paio d’ore si dedicavano ai piaceri del sesso, ogni volta sospinti da un irrefrenabile desiderio reciproco e ancora più eccitati dalla possibilità di essere scoperti.
Altre volte si incontravano in piscina e approfittavano delle ore di lezione, quando erano soli e c’erano poche probabilità che qualcuno li potesse vedere, per sfilarsi il costume e fare l’amore in acqua. Una volta lei gli aveva detto:
«Non mi era mai successo prima di comportami in questo modo; sono sempre stata molto riservata, forse troppo! Se fino a pochi mesi fa qualcuno mi avesse detto che avrei fatto l’amore con uno dei miei studenti, nella piscina dell’istituto, probabilmente l’avrei giudicato matto. Sei tu che mi fai questo effetto: ogni volta che sono con te mi sembra di perdere la testa.»
Mentre attraversava il grande cancello in ferro battuto quei giorni apparivano distanti e irrimediabilmente perduti.
Dalla finestra del suo appartamento Elena aveva seguito la Porsche mentre percorreva il viale alberato e poi superava il cancello d’ingresso per imboccare la strada principale. Mark aveva cercato di parlarle per tutto il giorno precedente e l’aveva cercata per tutta la sera, ma lei aveva preferito evitarlo e non farsi trovare. I saluti avrebbero reso, se possibile, ancora più doloroso l’addio e poi aveva paura di non essere forte abbastanza, di piangere e mettersi ad urlare tutto l’amore che provava per un ragazzo che avrebbe dovuto trattare come un figlio e che invece le aveva donato i più intesi momenti di felicità che avesse mai provato.
Quando la Porsche sparì dal suo campo visivo lacrime calde cominciarono a rigare le belle guance lisce. Restò a lungo a fissare il vuoto, convinta d’aver perduto la cosa più bella che le fosse mai capitata.