Sensazioni
Cap 9 - Quando un ragazzo in vacanza
Sarebbe minore il pericolo di cedere alle lusinghe di un estraneo
se i propri amici e parenti fossero un po' più divertenti.
Ogden Nash
Le due settimane trascorse in Scozia avevano giovato molto sia al suo fisico che al suo umore. Aveva corso tutte le mattine nel bellissimo bosco adiacente alla tenuta dove era ospite e aveva cavalcato quasi tutti i giorni approfittando dei cavalli della scuderia del padre di Andrea. Il resto della giornata scorreva tranquillo fra la lettura di qualche buon libro preso a prestito dalla fornita biblioteca del padrone di casa e le nuotate nella piscina olimpionica al centro del grande prato all’inglese sul retro della casa.
In realtà si trattava solo di ingannare il tempo in attesa che calasse la notte e cominciasse la festa. Il loro rituale notturno prevedeva una visita a tutti i pub e le birrerie della zona, alla ricerca di un buon boccale di birra e di qualche ragazza compiacente; poi, dopo la mezzanotte, si trasferivano in una discoteca o in qualche altro posto dove fosse possibile ballare e ascoltare un po’ di musica. Se prima di mezzanotte non avevano ancora trovato una ragazza si poteva sempre provvedere rimorchiandone una sul posto, ma durante tutta la vacanza non avevano mai avuto di questi problemi. Entrambi molto attraenti, intelligenti, atletici e ricchi, erano quello che molte donne considerano un buon partito; e poi c’era l’auto che dava loro una mano. La Porsche nera si era rivelata una vera calamita per le ragazze e anche la Viper che Andrea aveva ricevuto come regalo per il diploma era stata all’altezza della situazione. Passavano la nottata a casa della ragazza di turno oppure in un albergo vicino la spiaggia, quando lei viveva ancora con i genitori o divideva l’appartamento con qualche amica e non desideravano essere disturbati.
Per quanto potevano cercavano di restare insieme, magari rimorchiando due amiche, ma se erano costretti a separarsi si incontravano subito dopo l’alba in un bar lungo la litoranea; facevano colazione e tornavano a casa insieme, scambiandosi impressioni sulla serata e soprattutto commenti osceni sulle ragazze con cui erano stati.
Se qualcuno avesse ascoltato i lori discorsi o si fosse soffermato ad analizzare il comportamento lascivo delle ultime due settimane, probabilmente non ne avrebbe ricavato una buona impressione; entrambi lo sapevano e se ne vergognavano un po’. Ma le ragioni profonde di quella condotta un po’ immorale andavano ricercate nello spirito goliardico che aveva sempre avuto il sopravvento nella loro amicizia e che da tempo guidava le loro azioni come un burattinaio invisibile che tira i fili delle sue marionette.
La mattina della partenza Andrea scese a salutare Mark mentre terminava di sistemare le sue cose nel bagagliaio anteriore dell’auto.
«Allora Mark, sicuro di non volerti fermare qualche altro giorno?!»
«Sicuro!» Fissò il volto dell’amico per un attimo, poi si chinò a raccogliere la sacca e l’adagiò sul sedile posteriore.
«D’accordo!» Riprese Andrea. «Quando ci rivedremo?»
«Questo proprio non lo so.» Per un attimo provò l’impulso di abbracciarlo forte. «Verrai a trovarmi a Los Angeles spero!»
«Puoi contarci! Non sono mai stato in America. Pensavo di farci un salto alla chiusura dell’anno accademico; per allora potrai mostrarmi tutto quello che c’è di bello nella città degli angeli.»
Rimasero a lungo a guardarsi in silenzio. Fra loro era sempre stato così: passavano le ore senza dire una parola, limitandosi a indovinare i pensieri dell’altro da un movimento degli occhi o della fronte. Dopo tanto tempo, trascorso insieme avevano codificato quello strano codice che funzionava meglio di mille parole e avevano imparato a non poter fare a meno l’uno dell’altro. “Tante cose cambiano” pensò Mark, “e non sempre in meglio”.
«Ho salutato tua madre stamattina presto, ma non sono riuscito a trovare tuo padre. Volevo ringraziarlo per l’ospitalità, puoi farlo tu per me?»
«È dovuto tornare in città ieri sera per degli impegni di lavoro ma gli porterò i tuoi saluti. Sono convinto che gli faranno molto piacere.»
«È per questo che tua madre sembrava così triste stamattina?» Forse non era delicato intromettersi negli affari di famiglia ma veder piangere la padrona di casa aveva suscitato la sua curiosità, oltre a una certa preoccupazione per quello che poteva essere lo stato d’animo dell’amico.
«I miei genitori hanno intenzione di divorziare.» Disse improvvisamente Andrea voltando la testa per non sostenere il suo sguardo.
«Mio Dio! Mi dispiace tanto, ma tu come stai?»
«Come vuoi che stia. Dicono che il loro amore nei miei confronti non è cambiato affatto, che sono loro ad avere dei problemi, che hanno tentato di tutto e che questa è l’unica maniera per continuare a vivere senza distruggersi l’un l’altro. La verità è che forse è meglio vederli separati e felici, piuttosto che assistere alle continue sfuriate di entrambi. Ma sono i miei genitori e non riesco a immaginare uno senza l’altra.»
«Non avevi colto qualche malumore prima d’ora?»
«No! Voglio dire…» faceva fatica a parlare, come se una morsa gli serrasse lo stomaco impedendo al fiato di uscire «…sapevo da tempo che passavano le vacanze separati e avevo il sospetto che mio padre avesse un’amante, ma non avrei mai sospettato che fossero a questo punto.»
«In un rapporto di coppia la fiducia è importante. Probabilmente tua madre si è sentita tradita o offesa dal comportamento del suo compagno.»
«O minacciata nel suo ruolo di femmina dominante nella vita di mio padre.» La voce di Andrea si faceva sempre più sottile; Mark pensò che da un momento all’altro sarebbe scoppiato a piangere.
«Ma di che diavolo stai parlando? Femmina dominante? Hai preso tua madre per una leonessa?»
«Andiamo Mark! Mio padre è uno degli uomini più ricchi di tutta l’Inghilterra. Per i suoi affari passa metà dell’anno in giro per il mondo, lontano dalla sua famiglia e dalla sua casa: è normale che di tanto in tanto cerchi la compagnia di qualche bella donna. È una cosa che fanno tutti!» Le ultime parole erano cariche di rabbia e rancore e Mark capì che l’amico aveva già deciso da che parte stare.
«Possibile che tu sia così idiota? Se tutti fanno una cosa non è detto che questa sia giusta o che debba andar bene a tutti. Parli di tua madre come se non avessi alcun rispetto per lei, la tratti come un oggetto di piacere per tuo padre, come se fosse una sua proprietà. È una concezione medioevale, non riesco a credere che tu sia così ottuso.»
Non voleva offender l’amico, ma conosceva le sue idee sulla superiorità dell’uomo e sulla devozione della donna nei confronti del marito, ne avevano discusso milioni di volte e quando partiva per la tangente era sempre meglio fermarlo prima che potesse dire qualcosa di cui poi si sarebbe pentito.
«Adesso ascoltami.» Riprese Mark dopo aver respirato profondamente per allentare la tensione. «Tua madre è una bella donna, intelligente, simpatica, raffinata. Credi che avrebbe qualche difficoltà a trovare qualcuno che riempia il vuoto lasciato da tuo padre quando lui è via per lavoro? Se non lo fa non è perché in quanto donna non ha diritto a vivere una sua vita indipendente, con i suoi desideri, le sue ansie e le sue passioni, ma perché con ogni probabilità è così innamorata di tuo padre da non riuscire pensare a nessun altro. E soffrire a causa della persona che ami è una delle cose peggiori al mondo, perché la frustrazione o la delusione che ne scaturisce ti getta in uno stato di impotenza terribile.»
«Credi che sia così?»
«Certo che lo credo! E puoi star certo che la rabbia o la sofferenza che stai provando in questo momento è la stessa che sta distruggendo lei: entrambi siete stati delusi dalle persone che amavate. Parlale e sono sicuro che riuscirete a capirvi.»
«Non so se è una buona idea. Voglio dire…» fece una pausa per raccogliere e ordinare i pensieri «…non è un argomento di discussione facile, non saprei da dove cominciare. Forse non dovrei intromettermi. Dovrei lasciare che le cose seguano il loro corso naturale.»
«Se non vuoi farlo per lei, fallo almeno per te stesso. C’è un solo modo per sciogliere il rancore che provi in questo momento e risolvere tutti i tuoi dubbi ed è parlare con tua madre. E poi, chissà che insieme non riusciate a trovare una soluzione al problema. Ricorda le lezioni di filosofia: l’uomo è dotato di libero arbitrio, niente accade se non c’è una volontà a guidare le azioni.»
«Dove prendi queste perle di saggezza!» Il volto si era fatto più sereno e gli occhi prima acquosi avevano ripreso a brillare riaccesi dal barlume della speranza.
«Che vuoi farci?! È una specie di maledizione: è destino che debba essere la coscienza di qualcun altro ma che non riesca, con altrettanta lucidità, a indagare nel profondo della mia anima.»
Scoppiarono a ridere entrambi e risero a lungo, incapaci di trattenere le lacrime. Poi si abbracciarono forte e si salutarono.
«Allora alla prossima estate!» disse Andrea mentre accostava lo sportello della Porsche.
«Ci rivedremo in estate, ma non è detto che non dobbiamo sentirci fino ad allora. Conosci il numero del mio cellulare e il mio indirizzo di posta elettronica; puoi contattarmi lì finché non mi sarò sistemato. Poi ti manderò il nuovo indirizzo e il nuovo numero di telefono. Guarda che ci conto.
«Ti farò avere mie notizie, così tu potrai raccontarmi di tutti i posti meravigliosi che visiterai e di tutte le ragazze che avranno la fortuna di condividere il tuo letto.»
«Stammi bene.»
Vedere l’amico nuovamente di buon umore lo rincuorava molto; adesso sentiva di poter partire tranquillo. Fece girare la chiave nel blocchetto dell’accensione alla destra del volante e partì sereno alla volta dell’Italia.
Il panorama del bel paese era proprio come lo ricordava quando, da bambino, trascorreva l’estate con i suoi genitori nella grande casa in riva al lago di Como.
L’ultima volta che c’era stato non aveva più di dieci anni, ma i ricordi non si erano sbiaditi col tempo; nella sua mente erano così vivi che faceva fatica a credere che fosse passato così tanto tempo.
Persino il suo italiano non era andato del tutto perduto. Quando si era fermato a mangiare in una trattoria per la strada era riuscito a decifrare quasi tutto il menù con relativa facilità, aveva mangiato della pasta al pomodoro fresco e basilico e la cameriera, una donna sulla quarantina abituata a trattare più con avventori stranieri che con gente del posto, si era sorpresa molto quando lo aveva sentito ordinare in un italiano quasi perfetto, ma dalla pronuncia e dall’accento terribile.
Raggiunse Como alle quattro del pomeriggio. Le vie della città erano deserte per via di una calura insopportabile che aveva spinto la maggior parte degli abitanti a concedersi un po’ di sollievo sulle rive del lago. “Probabilmente i pochi sfortunati che sono costretti a restare in città se ne stanno tappati in casa al fresco dei climatizzatori”, pensò Mark mentre fissava le finestre chiuse di ogni palazzo e le serrande abbassate dei negozi.
Fece fatica a trovare via Manzoni. Poi gli venne in mente che il celebre scrittore aveva ambientato lì i suoi Promessi Sposi e gli parve strano che non ci fosse neanche un cartello a segnalare la via che gli era stata dedicata.
Mentre percorreva a piedi il centro storico rimpianse la fresca Inghilterra e le giornate piovose passate a fissare l’orizzonte dalla finestra. I jeans un po’ attillati gli davano un fastidio tremendo e la camicia bianca era fradicia e appiccicosa. Desiderava fare una doccia, ma prima doveva trovare l’agenzia che si occupava della manutenzione della villa di famiglia, recuperare le chiavi e sperare che qualcuno lo accompagnasse fino al lago o in alternativa, che gli fornisse le giuste spiegazioni per arrivarci, perché da quando era entrato in Italia si era già perso tre volte nonostante la cartina e il sistema di navigazione satellitare che aveva con sé.
Trovò via e numero civico che il padre gli aveva fornito quando era in Scozia ed entrò in piccolo locale ben arredato, con moquette verde sul pavimento e grandi pannelli in legno, alti all’incirca un metro e mezzo, che giravano intorno alla stanza. Il soffitto con le alte volte a botte era davvero sorprendente e Mark rimase a contemplare estasiato il gigantesco affresco che lo ricopriva tutto. Al centro c’era un albero che Mark riconobbe come l’albero della vita per averlo già visto sui libri di storia dell’arte in altri affreschi del genere. Tutto attorno erano raffigurate immagini e situazioni fra le più disparate, da figure di angeli a scene di caccia. Sembrava che tutta la storia dell’uomo fosse impressa su quelle volte con sorprendente precisione e una chiarezza decisamente disarmante. Cominciò a sentire sul corpo i benefici dell’aria condizionata.
«Posso aiutarla?» Due occhietti furbi lo guardavano da dietro le lenti sottili di un paio di occhiali color oro. Gli occhi appartenevano a una graziosa ragazza seduta dietro la scrivania alla destra dell’ingresso. Aveva lunghi capelli neri, raccolti a coda di cavallo, e un viso dolce e aggraziato. Fissandola attentamente Mark pensò che non avesse più di venticinque anni. Forse era la segretaria.
«Sì!» Si affrettò a rispondere. «Chi ha dipinto questo soffitto?»
«Mi dispiace, ma l’affresco è opera di un anonimo del settecento. Quando l’agenzia ha comprato lo stabile era stato ricoperto da uno strato di intonaco. Qui prima c’era una pescheria.» Spiegò la ragazza, evidentemente contenta di sfoggiare la sua preparazione in campo artistico. «Poi durante i lavori di ristrutturazione è saltato fuori per via di alcune macchie di umidità che avevano fatto cadere l’intonaco e il proprietario ha pensato di restaurarlo.»
«Il restauro deve essere costato un patrimonio.»
«Niente affatto! L’affresco è stato riconosciuto opera d’arte nazionale e il ministero per i beni culturali ha stanziato la somma necessaria perché un capolavoro del genere non andasse perduto.»
Tutta la conversazione si era svolta in inglese e Mark si stupì molto della naturalezza con cui la ragazza si esprimeva; non aveva accenti o inflessioni particolari e la pronuncia era davvero accademica.
«Complimenti» disse «la sua preparazione è davvero encomiabile e anche il suo inglese è perfetto.»
«La ringrazio per il complimento, ma non si tratta di alcuna preparazione.
Semplicemente lavoravo già qui quando l’affresco è stato scoperto e ho seguito da vicino tutti i lavori di restauro. Sono una studentessa di lingue e lavoro qui, parttime o d’estate, per pagarmi l’università. Ora mi dica, cosa posso fare per lei? Non è qui solo per ammirare l’affresco vero?»
«Ha ragione. Sono Mark Goodwind, sono qui per le chiavi della villa sul lago.»
«Oh, Signor Goodwind! Suo padre ha telefonato ieri per avvisare che sarebbe passato a ritirare le chiavi di villa Marta, ho le chiavi sulla scrivania.»
Aveva avvisato suo padre due settimane prima e lui aveva telefonato soltanto ieri: probabilmente lo aveva dimenticato, pensò mentre seguiva la ragazza alla scrivania di mogano. Lei si accomodò sulla poltrona in pelle nera lasciando che la gonna corta salisse sui fianchi e scoprisse le belle gambe sottili e abbronzate. Mark non riuscì a non fissarle e lei se ne accorse; sorrise compiaciuta e tirò verso il basso di qualche millimetro la stoffa sottile della gonna. Lo spettacolo non era cambiato, ma si sentiva meno in imbarazzo.
«Se ci avesse avvisato con qualche giorno di preavviso mi sarei preoccupata di farle trovare tutto in ordine.» Disse lei quasi scusandosi. «Troverà il giardino a posto, perché il giardiniere c’è stato meno di quindici giorni fa, ma purtroppo per le pulizie in casa dovrà aspettare domani: la squadra delle pulizie sarà da lei per nove.»
«Ho avvisato mio padre oltre due settimane fa. È già una fortuna che se ne sia ricordato!» Il suo tono era volutamente sarcastico: voleva fare una doccia e una dormita e invece con ogni probabilità gli toccava sgobbare un paio d’ore prima di poter sistemare almeno il bagno e la camera da letto. «In che stato è la casa esattamente?»
«I lavori di ristrutturazione sono stati terminati circa due mesi fa; quella è stata l’ultima volta che la casa è stata pulita. Ci sono dei teloni bianchi che coprono tutti i mobili e che vanno rimossi, c’è bisogno di una pulita generale e poi immagino che sia necessario aprire le finestre per fare entrare un po’ d’aria pulita. Non credo che ci metteranno più di tre ore!»
«Accidenti!» Commentò Mark a denti stretti.
«Mi dispiace davvero. Ma non sono riuscita a trovare una squadra per stamattina. Tuttavia, se lo desidera, posso mandarle una Signora di mia conoscenza che provvederà a sistemare almeno la camera da letto e il bagno.»
«Era quello che stavo pensando anche io, ma non si preoccupi, farò da solo.» Stava compilando un elenco mentale di tutte le cose da fare, cercando di ordinarle secondo la loro importanza o urgenza. Doveva comprare qualcosa da mangiare, quindi aveva bisogno di un emporio o un supermarket, poi doveva raggiungere la villa e darsi da fare per mettere in ordine. Guardò l’orologio: erano le cinque e mezza. “Forse riuscirò a finire tutto per le nove”, pensò tristemente.
«Intanto vuol darmi un suo documento?» La ragazza lo fissava incuriosita con la mano tesa nella sua direzione.
«Documento? Perché?» Era sorpreso dal fatto che avesse interrotto i suoi pensieri più che dalla richiesta.
«Ho bisogno di un suo documento per identificarla con certezza prima di darle le chiavi della villa. Capisce che chiunque potrebbe entrare dicendo di essere il figlio del proprietario e l’agenzia è responsabile del fabbricato.
Il tono della voce era imbarazzato ma deciso: non avrebbe dato le chiavi a uno sconosciuto e se questo significava offendere il proprietario poco importava. Mark pensò che fosse molto in gamba oltre che professionale.
Prese il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans e tirò fuori la patente. Porse la piccola tessera alla ragazza e disse:
«Spero che la mia patente di guida vada bene perché in questo momento ho solo quella! Se vuole ho il passaporto in macchina, posso andare a prenderlo in dieci minuti!»
La ragazza si rasserenò vedendo che Mark era deciso a collaborare. Pensò anche che la sua circospezione potesse essere stata interpretata come una forma di sicurezza aggiuntiva che in fondo non danneggiava nessuno e metteva al riparo da rischi inutili. Allungò la mano sottile e prese la tesserina azzurra dalla mano del ragazzo, quindi si affrettò a compilare un modulo.
«Accidenti!» Disse improvvisamente. «Lei è uno che ama viaggiare! Qui c’è scritto che è nato in America, che risiede in Inghilterra, e questa è una patente australiana: non si ferma mai?»
«Se proprio lo vuole sapere sono anche di origini italiane, visto che mio nonno era un immigrato; il suo vero cognome era Bonivento.»
«Ha fatto la traduzione!» Disse lei ridendo e riprese a compilare il suo modulo.
Mark non ci aveva mai pensato, ora gli sembrava così chiaro che si sentiva uno stupido per non esserci arrivato da solo. Anche il suo nome era una traduzione: il padre di suo nonno si chiamava Marco, lui Mark. Suo nonno era troppo legato alla sua terra e alle sue tradizioni per rinunciarci; aveva tradotto tutto e aveva risolto il problema. Si chiese se suo padre avesse mai avuto quella intuizione. Suo padre era Simon, traduzione del nome dello zio Simone, l’unico fratello del nonno.
“Accidenti a te”, pensò rivolgendosi a suo nonno come questo potesse captare i suoi pensieri, “sei riuscito a fregarli tutti. Sembravi così integrato nel tessuto sociale americano! Di solito gli immigrati, per un paio di generazioni almeno danno ai figli nomi propri della terra da cui vengono e difficilmente rinunciano al loro cognome, come se fosse un fatto d’onore. Tu invece hai fatto credere a tutti di aver rotto definitivamente col passato. Molto furbo, davvero molto furbo.”
La ragazza terminò di riempire tutte le caselle del modulo prestampato e lo porse a Mark per farlo firmare. Lui si chinò sulla scrivania e cominciò a leggere ma il suo italiano non gli permetteva di decifrare chiaramente il contenuto di tutte le clausole e i codicilli scritti in piccolo alla fine del foglio.
«Mi spiace» disse con una nota di rammarico nella voce «ma non credo di voler firmare una cosa di cui non capisco il senso.» Non si aspettava che sorgessero tante difficoltà; voleva semplicemente passare qualche giorno nella villa della sua famiglia. Non credeva che fosse così complicato!
«Capisco la sua titubanza.» Rispose la ragazza con fare comprensivo. «Questi sono dei moduli standard che i nostri clienti compilano quando ritirano le chiavi delle abitazioni. Qui si dice che in questa data e a questa ora io le consegno le chiavi della casa e da questo momento non sono più responsabile di quello che avviene alla sua proprietà. Se in futuro dovessimo riscontrare dei danni, possiamo stabilire con certezza a chi spetta la responsabilità, senza che si creino controversie fra le parti.» Parlava in modo professionale, indicando con l’indice sinistro i vari campi del modulo mentre ne spiegava il significato. «Inoltre, qui si dice che se dovesse avere dei problemi durante la sua permanenza nell’edificio, problemi legati a una eventuale nostra mancanza nell’amministrazione della proprietà, noi provvederemo a risarcire tutte le spese che il danno comporta, inclusa la sistemazione in un alloggio adeguato di nostra proprietà o in albergo e al rimborso di tutte le spese extra legate al disturbo che le abbiamo cagionato.»
Mark credeva di aver capito tutto, ma continuava a mostrarsi reticente. Tutte le barzellette sugli italiani mafiosi e truffatori dovevano avere un fondo di verità e voleva essere sicuro di non essere vittima di un imbroglio.
Per rassicurarlo ulteriormente la ragazza andò allo schedario che aveva alle spalle e tirò fuori una cartelletta di cartone color panna. La posò sulla scrivania, la aprì e ne estrasse un modulo simile a quello che lui aveva in mano. Lo lesse velocemente e lo passò al ragazzo.
«Questo è un modulo identico a quello che ha in mano che suo padre ha firmato tre mesi fa quando è venuto a vedere come procedevano i lavori di ristrutturazione.»
Mark prese il modulo e ne lesse i dati anagrafici. Poi guardò attentamente la firma alla fine del foglio: era quella di suo padre, non aveva dubbi. Controllò la data riportata in alto a destra; suo padre era stato davvero lì tre mesi prima. Non gli aveva detto nulla, il che era strano perché di solito quando veniva in Europa lo avvisava sempre nella speranza che potessero incontrarsi da qualche parte. Probabilmente era stata una visita veloce per controllare l’andamento dei lavori alla villa e pagare qualche conto.
«Se mio padre ha firmato questo modulo non vedo perché non dovrei fare altrettanto anch’io.» Disse lui alla fine. Firmò e passo il modulo alla ragazza che lo infilò con cura nella cartelletta di cartone.
«Quanto ha intenzione di trattenersi?» Disse lei mentre gli passava un mazzo di chiavi.
«Veramente non lo so ancora. Avevo intenzione di fermarmi un paio di settimane, ma potrei decidere di restare qualche giorno in più.»
«Quando decide di partire mi avvisi: manderò qualcuno a ritirare le chiavi e chiudere la villa.»
«Volevo chiederle di accompagnarmi, se non è troppo disturbo! È da tempo che non vengo in Italia e ho paura di perdermi.»
«Mi spiace, oggi sono sola e non posso lasciare l’agenzia, ma se vuole ho una cartina della zona molto dettagliata. Vedrà che con quella non avrà difficoltà!» Da un cassetto prese una piantina ripiegata e la aprì sulla scrivania.
«Ecco» disse «ora siamo qui.» Col dito indicò un punto sulla carta. «Villa Marta è esattamente qui, se segue la statale non può sbagliare.»
«La ringrazio, lei è stata davvero molto gentile. Può dirmi dove posso trovare un supermercato aperto? Vorrei comprare qualcosa per la cena.»
«C’è un emporio alla fine della strada. Probabilmente è chiuso, ma il proprietario vive nell’appartamento al piano superiore. Suoni e dica pure che la mando io: vedrà che non le faranno problemi.»
«La ringrazio ancora. Spero di rivederla prima di partire.»
«Ci vedremo senz’altro domani. Accompagnerò la squadra per le pulizie per accertarmi che tutto sia fatto per il meglio. Se le venisse in mente qualcos’altro di cui potrebbe aver bisogno o per qualsiasi problema, questo è il mio numero di telefono: può chiamarmi a qualunque ora.» Gli passò un bigliettino da visita con il logo dell’agenzia.
«In effetti c’è qualcosa che potrebbe fare per me. Che ne direbbe di accompagnarmi a cena una di queste sere? Decida lei il giorno e il posto!»
«Sarei veramente felice di cenare con lei, ma il mio fidanzato non vedrebbe di buon occhio l’invito di un bel ragazzo come lei.»
«Allora è meglio rinunciare. La gelosia degli italiani è famosa in tutto il mondo e non ci tengo a essere sfidato a duello per una questione d’onore rubato.» Il tono era volutamente ironico ed entrambi scoppiarono a ridere.
«Non si tratta di questo. Il fatto è che poi dovrei permettere a lui di andare a cena con una donna e il solo pensiero mi fa ribollire di rabbia.»
«Allora non sono solo gli uomini italiani ad essere gelosi?!»
«Le donne lo sono molto di più.» rispose lei ridendo.
L’emporio in fondo alla via era chiuso. Mark suonò come gli era stato suggerito e un vecchietto gentile gli aprì senza molti problemi. Prese da mangiare e qualche prodotto per le pulizie di casa, poi tornò all’auto e raggiunse villa Marta seguendo la cartina che la ragazza dell’agenzia gli aveva dato. Le indicazioni si rivelarono preziose e la cartina veramente molto dettagliata.
Alle cinque e mezzo era di fronte al portone in ferro battuto che dava sul grande viale alberato. Ricordava bene quell’ingresso. Su quel viale aveva imparato a guidare la Porsche quando aveva dieci anni e suo nonno gli permetteva di arrivare dal garage al cancello. Guardò la targa d’ottone con i caratteri gotici posta in alto sulla colonna di destra dell’ingresso; sulla colonna sinistra ce n’era una uguale. Su entrambe era incisa la frase:
”Alla mia Marta,
che illuminò i giorni più belli della mia vita
come il sole nelle buie mattine d’inverno”
Gli venne in mente sua nonna. Non l’aveva mai conosciuta perché era morta molto prima che lui nascesse, ma da quello che sapeva di lei doveva essere stata una donna eccezionale. Aveva visto molte sue foto, nelle quali era sempre bellissima e piena di fascino, e aveva letto tutte le lettere che lei aveva scritto al marito e al figlio. Era intelligente e spiritosa, ma a colpirlo era stata soprattutto la gioia che traspariva da ogni riga, la saggezza dietro ogni consiglio o raccomandazione e l’incredibile apertura mentale di una donna vissuta in un’epoca difficile.
Dopo la sua morte il marito aveva dato il suo nome alla casa che amava di più, dove aveva trascorso i momenti più belli e spensierati, quasi avesse voluto imprigionare il suo spirito in un luogo o in una costruzione di mattoni e sembrava che vi fosse riuscito vista la bellezza e l’incredibile serenità del posto.
Armeggiò per un po’ con la serratura del cancello alla ricerca della chiave giusta in un mazzo di quasi trenta chiavi. “Avrei dovuto farmi indicare almeno le chiavi principali” pensò leggermente scoraggiato dall’eventualità di doverle provare tutte per ogni nuova serratura che si sarebbe presentata nei prossimi giorni.
«Guardi che questa è proprietà privata. Se non se ne va immediatamente chiamo la polizia.»
La voce veniva dalle sue spalle. Mark aveva capito che era rivolta a lui, ma non era riuscito a capire il senso della frase e la parola polizia lo aveva spaventato un po’. Si voltò di scatto e vide una ragazza abbronzata in costume da bagno, con un grosso cappello di paglia sulla testa e grossi occhiali da sole che nascondevano il viso. Indossava un bichini azzurro e in mano aveva una borsa di plastica trasparente nella quale erano visibili un telo da mare e un barattolo di plastica giallo.
Era molto sexy, con lunghe gambe abbronzate, il ventre piatto dagli addominali ben modellati, il seno prosperoso messo in risalto da un reggiseno a forma triangolare legato al collo da un sottile laccetto. Indossava un paio di scarpe di tela bianche e alla caviglia sinistra portava un braccialetto in oro. Mark la giudicò molto attraente e avrebbe voluto vederle bene il viso, soprattutto gli occhi, ma doveva prima risolvere il problema di non farsi arrestare.
«Sono il proprietario, ho le chiavi.» Disse sperando che il suo italiano non lo tradisse proprio in quel momento e mostrando il mazzo di chiavi che aveva in mano. Lei lo guardò sospettosa per un momento, poi rivolse lo sguardo verso l’auto quindi tornò sul ragazzo, ma stavolta con un ampio sorriso.
«Mark? Tu sei Mark!» Gli andò vicina tendendo la mano destra e continuando a sorridere. Mark non sapeva più cosa pensare. Ma il fatto che l’avesse riconosciuto eliminava il problema della polizia e per il momento questo bastava a stringere la mano a una sconosciuta oltretutto molto carina.
«Mi spiace, ma temo proprio di non ricordare» disse lui con una nota di rammarico nella voce e una certa preoccupazione per come l’avrebbe prese lei «ma ti prego, non chiamare la polizia!»
«Sono Cristina, non ti ricordi di me?» Si tolse il cappello e gli occhiali da sole, rivelando lunghi capelli biondi e splendidi occhi azzurri. Se non fosse stato per l’abbronzatura chiunque avrebbe potuto scambiarla per una svedese o finlandese. «Quando eravamo bambini abbiamo passato tante estati a giocare insieme nella piscina di casa di tuo nonno o sull’erba del prato dei miei. È passato molto tempo, ma tu non sei cambiato affatto.»
Improvvisamente sentì come un interruttore scattare nel cervello e i ricordi vennero a galla, dapprima in modo lento e confuso, poi via via sempre più velocemente e sempre più nitidi.
«Accidenti, ora ricordo. Tu sei Cristina, la figlia dei nostri vicini. Allora eri una bambina con le treccine e i buffi costumi con le paperelle, adesso sei una donna splendida; è normale che non ti abbia riconosciuta.»
«Tu mi prendevi sempre in giro per quei costumi orribili che mia madre mi obbligava a portare.»
«E tu mi prendevi in giro per il mio buffo italiano.»
«Vedo che non sei migliorato molto.» Risero entrambi.
«In effetti non ho avuto modo di mantenermi in esercizio, ma sto recuperando velocemente. Ho comprato anche una grammatica.» Si voltò verso la macchina e dal sedile del passeggero prese un grosso libro che aveva comprato a Torino due giorni prima.
«Hai ancora quella macchina!» Disse lei mentre prendeva il volume dalle sue mani. «Ricordo quando tuo nonno ci portava in paese a prendere il gelato, e per strada ci raccontava quelle storie buffe sugli gnomi e gli abitanti della foresta.»
«Già! Di che si occupa adesso “la regina delle fate”?»
«Ti ricordi anche il soprannome che lui mi aveva dato?! Eri davvero un prodigio quando si trattava di ricordare le cose.»
«Sono ancora un prodigio quando si tratta di ricordare le cose!» Ripeté lui abbozzando un sorriso. «Per esempio, ricordo perfettamente i tre nei che hai sul sedere. Sulla chiappa sinistra per la precisione.»
«Sei ancora dispettoso come allora. Ti piaceva rubarmi le mutandine per poi vedermi correre nuda e piagnucolante dalla mamma e adesso ti piace mettermi in imbarazzo. Comunque, i tre nei non ci sono più; due anni fa li ho fatti togliere.»
«Mi dispiace di essere stato cattivo e di averti fatto piangere, ma se potessi tornare indietro rifarei tutto da capo perché a quei momenti sono legati alcuni fra i mie ricordi più belli.»
«Anche per me è così. Cambiando discorso: sei appena arrivato?»
«In effetti no. Sono qui da venti minuti e non ho ancora trovato la chiave giusta per il cancello.» Mentre parlava faceva oscillare le chiavi davanti alla sua faccia.
«Forse posso aiutarti; che ne dici di farmi provare?» Prese le chiavi dalle mani di Mark e con fare sicuro si diresse al cancello. Scelse una chiave dal mazzo e la provò. Dopo qualche secondo, sentì scattare il meccanismo a molla della serratura e il cancello si aprì cigolando rumorosamente.
«È incredibile!» Disse lui stupefatto. «Si può sapere come hai fatto?»
«Chiamalo intuito, o fortuna sfacciata, tanto è uguale.»
«Che ne diresti di usare la tua fortuna per le altre porte della villa?»
«Mi piacerebbe aiutarti, ma sono già in ritardo e non posso proprio trattenermi oltre, ma…» fece una pausa piuttosto enfatica «…se ti va puoi venire a cena da noi stasera. Sono convinta che ai miei farà molto piacere!»
«Vada per la cena. Così potrai raccontarmi qualcosa di te!»
«Allora ti aspettiamo per le otto.» Si voltò e si incamminò con passo svelto in direzione della villa alla fine della strada. Mark la seguì con lo sguardo per un po’, ipnotizzato dalla sua andatura sciolta e ondeggiante, poi, quando fu fuori dal suo campo visivo, saltò in macchina e varcò il cancello.